Non abbiamo problemi a scompisciarci dalle risate, ma ci vergogniamo molto a farci vedere mentre piangiamo. Il pianto, dopo la morte, è il vero tabù dei nostri tempi: forse perché ci sentiamo così fragili da non sopportare di mettere in mostra la nostra vulnerabilità. Soprattutto se siamo maschi. Invece il pianto è un lavacro che ci equilibra e ci fortifica, un antidoto allo stress, un termostato capace di regolare la temperatura dell’anima. “Gli occhi che piangono di più”, scrisse Victor Hugo, “sono anche quelli che ci vedono meglio”. In Giappone, dove le lacrime sono considerate un deplorevole sintomo di debolezza, è nata così una scuola, nella quale il maestro Takashi Saga, che si definisce “sommelier del pianto”, infligge ai suoi studenti una scorpacciata di racconti, video e musiche ad alto tasso di commozione. In dosi talmente massicce da far sciogliere in lacrime anche i più duri di cuore, quelli che si presentano ai corsi con aria di sfida e risolino sulle labbra. Pare che il successo delle lezioni per imparare a piangere sia travolgente e che il materiale più efficace preveda storie tragiche che hanno i bambini come protagonisti. Chissà se riuscirebbero a smuovere anche quel dandy di Oscar Wilde che, a proposito dello straziante finale del romanzo di Dickens “La bottega dell’antiquario”, con la morte della bambina protagonista, commentò: “Bisogna avere davvero un cuore di pietra per non ridere alla morte della piccola Nelly”. E Marcello Marchesi, che diceva: “Mi piacciono moltissimo i bambini, specialmente quando piangono: così li portano via”.
Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan
COGLI L’ATTIMO
da Scusate il ritardo (1983) interpretato e diretto da Massimo Troisi.