ADDIO BILL!


Editoriale del 7 agosto 2017

Ho accolto con grande ammirazione il ritiro dalle scene di Daniel Day Lewis, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Trent’anni fa abbandonò il teatro, interpretava Amleto e svenne vedendo il fantasma del padre. Aveva voltato le spalle al cinema già una volta, a cavallo tra i Novanta e i Duemila, chiudendosi in una bottega fiorentina per apprendere l’arte di ciabattino, come un garzone qualsiasi. Come Wittgenstein, che dopo il Tractatus diventò giardiniere, aveva già toccato i nervi della disciplina. Non avrebbe avuto senso la ripetizione. Un vecchio debito con Scorsese lo costrinse a impersonare il macellaio in “Gangs of New York”, l’ennesimo capolavoro attoriale. Sono numerosi gli aneddoti sul suo morboso camaleontismo: dai mesi passati nella giungla per “L’ultimo dei Mohicani” al masochismo studiato e applicato “Nel nome del padre”, passando per il rifiuto di abbandonare il personaggio, finito il ciak, in “Il mio piede sinistro” e “Lincoln”. Può qualcuno incarnare lo spirito brutale del capitalismo, dopo “Il petroliere”? Temo di no. Ci lascia un’aristocratica assenza come ultimo personaggio, e il sospetto che sia necessario essere radicalmente gli altri, veri o artefatti, per tornare al semplice gesto dell’uno.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

Sono numerosi gli aneddoti sul suo morboso camaleontismo: dai mesi passati nella giungla per “L’ultimo dei Mohicani” al masochismo studiato e applicato “Nel nome del padre”, passando per il rifiuto di abbandonare il personaggio, finito il ciak, in “Il mio piede sinistro” e “Lincoln” (da ADDIO BILL!, editoriale di Luca Foschi)

da Il mio piede sinistro (1989) diretto da Jim Sheridan e interpretato da Daniel Day-Lewis

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