AMERICAN BEAUTY


Editoriale del 22 maggio 2012

Se siamo morti già da vivi, solo la morte potrà salvarci. Questo il sugo di AMERICAN BEAUTY, il bel film d’esordio di Sam Mendes che inaugurò il cinema del Duemila. In un mondo inautentico dominato dalla cosmesi dei corpi e dei sentimenti, condannati all’inappagamento dei desideri perché vogliamo apparire quello che non siamo, mentre l’ipocrisia e il perbenismo mimano una gradevolezza plastificata, l’unica bellezza è quella della morte, sola immagine di verità e della fine di ogni faticosa finzione. Alla ragazzina che gli chiede perché filmi il cadavere di un piccione, il giovane cinemaniaco, che già ha ripreso la morte di una barbona, risponde: “Perché è bello”. Lo stesso giovane fisserà affascinato, nel finale, il volto del defunto Lester, uno straordinario Kevin Spacey che, fin dall’inizio del film, narra in flashback tutta la storia proprio dal punto di vista del morto, con il disincanto sornione di chi gode di una posizione privilegiata, ormai distaccato da tutto e convinto di essere stato ancora più morto da vivo. Si permette perfino di apostrofare gli spettatori, dandoci appuntamento a quando anche noi saremo morti e scopriremo (provare per credere!) quanto poco sia da commiserare la condizione di defunto. Almeno non quanto quella di chi vive come Carolyn, la moglie del protagonista, schiava del triste decoro borghese, spinta all’adulterio dall’attrazione per un grigio politicante appena appena in odore di potere. O di chi vive come i loro vicini: lui ha ribaltato la propria omosessualità in un nevrotico virilismo nazistoide, la moglie è catatonica. Per non parlare della ragazzina Angela, che si sforza di nascondere l’infelicità modellandosi sullo stereotipo della scaltra lolita (ma sul più bello si confessa vergine). Se Lester se ne invaghisce è perché gli appare una promessa di gioventù, una possibilità di rinascita e di rivincita su una vita frustrante e insulsa come la cittadina dove vive o la villetta dove abita, luoghi perfetti nella loro falsità da sogno americano, degni della Seaheaven del TRUMAN SHOW. Tra sforzi di ottenere un aspetto migliore (per piacere alla ragazzina, Lester si allena con i pesi e la corsa, mentre Carolyn è una maniaca dell’ordine casalingo) e tentazioni di commettere azioni sempre peggiori (è per sentirsi vivi che lui cerca di portarsi a letto l’amica della figlia e la moglie lo tradisce) si tocca il fondo della farsa e della tragedia. Chi si salva? L’introverso figlio del nazista che filma continuamente la realtà, celebrando il valore del cinema: uno specchio che, riflettendo le storture del mondo, può coglierne anche la poesia, sotto forma di un sacchetto che danza nel vento. I due giovani sembrano rappresentare la speranza di un futuro migliore, ma questo è un film dove il più pulito ha la rogna. E infatti il sensibile cineamatore è, in fin dei conti, uno spacciatore di droga.
 
Fabio Canessa
 

COGLI L’ATTIMO

 

da American Beauty (1999) regia di Sam Mendes con Kevin Spacey

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