L’enorme successo del “murales” romano -subito cancellato- che ritraeva Di Maio e Salvini impegnati a baciarsi, ha confermato, se ce ne fosse ancora bisogno, che tutti ma proprio tutti, inclusi direttori di giornale e professori universitari, chiamano “murales” quello che più correttamente dovrebbe chiamarsi, al singolare, “mural” in spagnolo o “murale” in italiano. Poiché però succede la stessa cosa con “vigilantes” (singolare o plurale non fa differenza), c’è da chiedersi per quale ragione (antropologica, spirituale, cazzabubbolistica) si debba sentire la necessità di aggiungere una esse a qualsiasi parola spagnoleggiante o semplicemente esotica, come faceva il cantante Armando de Razza negli anni ’80 del secolo scorso. In Sardegna sono gli stessi ristoratori indigeni, anticipando i clienti, a proporre “una seadas”, un piatto tipico a base di semola, miele e formaggio che correttamente, al singolare, si dovrebbe chiamare “seada” (o “sebada”). Ma chef e cuochi di quell’isola non fanno testo. La “fregula sarda”, nei menù, è ormai diventata, arrendendosi alla vulgata turistica, “la fregola sarda”, forse per dar conto del perenne stato di eccitazione sessuale della popolazione locale.
Marco Schintu
(Ufficio pesi e misure di Aristan)
C’è da chiedersi per quale ragione (antropologica, spirituale, cazzabubbolistica) si debba sentire la necessità di aggiungere una esse a qualsiasi parola spagnoleggiante o semplicemente esotica (da ARMANDO DE RAZZA, IL MURALES E IL VIGILANTES, editoriale di Marco Schintu)