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Il molo di Kapingamarangi era sovrastato da nuvole lunghe, molto belle. La barca che ci stava portando il fuoriclasse Gianfranco Zola era in forte ritardo.
“Se il mio amico Gigi Riva fosse stato un pittore sarebbe stato Vincent Van Gogh”; butto lì, tanto per fare quattro chiacchiere con chi aspettava.
Mi risponde una voce potente, profonda: “Chi dice che non aveva tecnica perché calciava solo di sinistro e non palleggiava come una foca non capisce un accidente di Calcio. La tecnica ce l’aveva e come! Ed era una raffinatissima. Unica. Infatti l’aveva costruita su misura per lui. Se il sinistro era tritolo puro lo doveva al più formidabile piede destro d’appoggio della storia del calcio. Lui quasi non dribblava: sfruttava la corsa dell’avversario per farsi trasportare, poi lo bruciava”.
Sapevo che Gomar Maria Golo, detto Slim, era un eccellente giudice-guardia carceraria-cuoco ma ora scoprivo che s’intendeva anche di calcio e, benché fosse un giovane nato a Kapingamarangi, conosceva benissimo Gigi Riva.
“Ma perché somiglierebbe a Van Gogh se fosse un pittore?”, mi chiede.
“Perché anche Van Gogh passa per uno bravissimo che però non ha una tecnica. E all’inizio era vero, perché cercava di adeguarsi alle procedure convenzionali. Mescolava i colori come un pittore della domenica e passò anni e anni per cercare d’imparare a disegnare accettabilmente: copiava, correggeva, cancellava. Poi decise di assecondare solo la sua forza solare, la sua passione; se vai al museo che gli hanno dedicato ad Amsterdam te ne rendi conto: all’inizio c’è una serie di suoi quadri che non appenderesti nemmeno in un sottoscala poi, all’improvviso, eccolo: Van Gogh!”.
“In cos’era cambiato?”.
“Si era liberato delle esitazioni e aveva scatenato il suo enorme talento. Spremeva i colori poi li spalmava energicamente sulla tela densi e puri, li accostava senza mescolarli, seguendo un suo ritmo interiore. Se doveva dipingere una strada che saliva li stendeva verticalmente, il cielo invece lo dipingeva con strisce orizzontali. E se nel cielo c’erano le stelle disponeva i suoi segni in cerchi gialli e ocra dentro altri segni che andavano dall’azzurro al blu oltremare. Potente come Gigi, Van Gogh. In un attimo dagli occhi sapeva arrivare alla pancia; il pensiero arrivava sempre con qualche secondo di ritardo”.
“E se invece che un calciatore o un pittore Gigi Riva fosse stato uno scrittore?”.
“Mmh… Credo che sarebbe stato Hemingway: ‘…e allora sentì un caldo, bianco lampo accecante esplodergli nella nuca e non sentì e non vide più nulla’; è la frase che racconta la fine della breve vita felice di Francis Mancomber, dai quarantanove racconti.
“E Diego Armando Maradona?”.
“Se fosse stato uno scrittore, dici?”.
“Sì”.
“Shakespeare. Uno che conosceva tutte le possibilità dell’Uomo: ‘Siamo fatti con la stessa materia dei sogni’. La Tempesta, atto quarto, scena prima”
“E Maradona pittore?
“Si sarebbe chiamato sempre Diego, ma Velázquez. Uno che dipingeva come Dio, di tutto: nani e cardinali, veneri allo specchio e vergini incoronate, uova fritte e monarchi. E giocava con il tempo e con lo spazio. Come Maradona”.
“E Michel Platini?”
“Lui è Rubens. Bravo quasi quanto Velázquez ma più teatrale, più compiaciuto. Mostrava chiappone matronali e cristi in agonia come se ti dicesse: hai visto cosa so fare?!”
“Platini scrittore?”.
“Sarebbe stato un poeta, un avvocato e un chierico tutt’insieme; John Donne: Tu osserva solo questa pulce, e guarda/ che poca cosa è quella che mi neghi;/ prima ha succhiato me, e adesso te:/ in lei s’è mescolato il nostro sangue;/ non si può dire, ammettilo, un peccato,/ una vergogna, uno sverginamento;/ lei però gode, e non ha fatto altro/ che pascersi d’un sangue che eran due,/ cioè più di quanto avremmo fatto noi”.
L’imbarcazione che stavamo aspettando, finalmente, era apparsa all’orizzonte.
“Cosa avrebbe dipinto Gianfranco Zola?”
“Avrebbe ritratto la ragazza con l’orecchino di perla. Sarebbe stato Jan Vermeer, uno che dipingeva con un’abilità tanto disumana da far sembrare semplice anche la sfumatura più vertiginosa. E non concedeva nulla nemmeno nei soggetti: merlettaie, paesaggi banalissimi, mescitrici di latte, soldati che conversano con ragazze sorridenti… Li guardi e quasi non capisci da dove giunga quella sensazione di luce e di mistero. Se poi fosse stato uno scrittore, Zola avrebbe fatto sembrare normali anche gli incubi più terribili…”.
Ma a questo punto Gomar Maria Golo, detto Slim, mi sorprende con una citazione inequivocabile: “Svegliandosi da sogni inquieti il signor Gregorio Samsa si rese conto di essere diventato un enorme scarafaggio ripugnante. Se ne stava sulla schiena, dura come una corazza, sollevando un po’ la testa scorse il suo ventre arcuato, scuro e diviso da tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto che ormai stava per scivolare giù, si manteneva a fatica”.
È l’angelo Franz Kafka; Slim sa che non c’è nemmeno bisogno di dirlo.
Filippo Martinez
COGLI L’ATTIMO
il gioco del “Se fosse” di Raffaella Carrà dalla trasmissione TV Ricomincio da due (1990)