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Ci avviamo verso la capanna di Gianfranco Zola. Camminiamo guardando in basso, quasi senza parlare: nessuno di noi pensa che, dopo la disastrosa sconfitta contro il Nukoro, accetti di giocare col Kapinga. Man mano che ci avviciniamo il pessimismo diventa certezza e la certezza, presto, si tramuta in indignazione.
Entriamo quasi senza bussare.
Zola sta sorseggiando una tazza di sakau con Gomar Maria Golo, detto Slim, Piergiorgio Mulas e Gino Camorra. Hanno tutti e quattro il volto accigliato, sembra una conferma al nostro timore. Ci guardano sorpresi, in silenzio.
“Caro Zola, troppo facile abbandonare la nave nella tempesta!”.
È Titti ad aprire il fuoco, furibonda. La segue a ruota Nanna. Si alternano. Tutti gli altri tacciono, me compreso.
“Un campione vero si sarebbe dannato per questa squadra!”.
“Senza di te non potremo mai sfidare a calcetto il resto del mondo”.
“Senza di te Atadreich dormirà sonni più tranquilli. Bravo! Grazie”.
“Grazie anche da parte del mostro!”.
“Quando hai detto che saresti venuto a Kapingamarangi abbiamo pensato che fossi grande, un grand’uomo”.
“Ora pensiamo che tu sia un uomo qualsiasi. Sissignore: un ometto qualsiasi”.
“Buon giorno signor Qualsiasi. Come sta?”.
“Complimenti per la scelta signor Qualsiasi!”…
E a questo punto che, con un coccodè perentorio, interviene la gallina-dinosauro di Nichi.
Nanna e Titti si ricompongono. Ozzy tossisce educatamente.
Zola ci guarda allibito. Poi timidamente, con un filo di voce, cerca quasi di scusarsi.
“Veramente giocherò col Kapinga, Gino mi ha portato il cartellino e io l’ho firmato”.
“Da più di un’ora”, aggiunge Gino con aria severa.
Imbarazzo generale.
È di nuovo Titti a rompere il ghiaccio: “Ma allora perché avevate quell’aria tetra?”.
Interviene Piergiorgio: “Non eravamo d’accordo con Gomar perché dice che il surrealismo non è nato a Parigi negli anni venti”.
“A no?”, dice Nanna fingendosi interessatissima, felice di cambiare discorso.
Ozzy non ha dubbi: “André Breton ha pubblicato il manifesto del surrealismo esattamente nel 1924”.
Guardiamo tutti Gomar che sta sorseggiando il sakau. Appoggia la tazza.
“È vero, il manifesto del surrealismo è del ’24 ma il surrealismo è nato molto, molto prima. Secondo voi la rappresentazione della dea indiana Kālī col terzo occhio e molte braccia è un’immagine realistica? O il sacro serpente gigante Bobbi-bobbi che risale al Tempo dei Sogni degli aborigeni? O il ciclope accecato da Ulisse nell’Odissea? O le rondini che escono a frotte dal sedere di un tizio nel Trittico delle delizie di Hieronymus Bosch? O lo spettro del padre di Amleto? O tutte le piume degli angeli di Dante nella Divina Commedia? Tutti i miti, tutte le fiabe, tutta la letteratura, tutta l’arte e tutte le religioni che si rispettino sono sommamente surreali. Ma avete mai visto l’aria serafica di San Pietro mentre in un dipinto di Lorenzo Lotto contempla la Madonna e Gesù bambino con una mannaia conficcata nel cranio? La verità è che quelle immagini sono più realistiche di un tranquillo paesaggio napoletano dell’ottocento. Un racconto, una poesia, un dipinto, sono davvero realistici se contemplano la possibilità del mistero. Anche se solo ce la fanno intuire, come fa Vermeer. Perché noi siamo il mistero”.
A questo punto, sorprendendo tutti, prende la parola la gallina di Nichi.
“Ma insomma, dici che il surrealismo nasce molto prima del manifesto surrealista; poi dici che tutto ciò che è nato prima non può essere surrealismo perché si tratta di vero realismo… deciditi: le piume degli angeli sono reali o surreali?”
“Giusta osservazione. Cerco di spiegarmi meglio: il surrealismo degli anni venti, tranne che per Dalì – che infatti fu cacciato – e Man Ray, è solo un’ostentazione del mistero, una formuletta alla moda sulla scia degli studi di Freud sull’inconscio: niente di surreale se non nell’etichetta. Le piume degli angeli invece sono surrealmente realistiche perché la realtà, contenendo il mistero, trascende sempre la realtà”.
“Ora è più chiaro. Grazie”.
Filippo Martinez
COGLI L’ATTIMO
da El jardín de las delicias, cortometraggio di animazione diretto da Juan Ibáñez.