Che strana impressione fa “Che strano chiamarsi Federico!”, il film di Ettore Scola su Fellini! A doverla sintetizzare in una parola, userei un vocabolo ricorrente nei discorsi di papa Francesco: tenerezza. Impossibile dire che è bello, perché risulta spesso di un’ingenuità imbarazzante, soprattutto per il disarmante narcisismo un po’ maldestro con il quale, omaggiando Fellini, Scola ha soprattutto celebrato se stesso, mettendosi in scena in terza persona, con una sceneggiatura fin troppo vulnerabile. Impossibile anche dire che è brutto, perché l’operazione fa molta simpatia e titilla la nostalgia per un cinema di ieri che è troppo superiore a quello di oggi (i tre italiani in concorso a Venezia erano inqualificabili: un cortometraggio dilatato a film, il peggior Amelio mai visto e il mediocre documentario che il presidente Bertolucci ha avuto l’impudenza di far vincere), così come la sfrontatezza sciagurata di Scola coincide con un’autenticità sentimentale che quasi commuove. E poi la splendida fotografia di Luciano Tovoli fa un lavoro strepitoso nel ricreare le luci e le atmosfere felliniane, senza contare soprattutto gli inserti dei film di Fellini, che sono la cosa migliore. Insomma, il film assomiglia ai suoi fans: il presidente Giorgio Napolitano, Eugenio Scalfari, Enzo Biagi se fosse ancora vivo. Cioè il frutto senile e tardo, anche nel gusto e nei riflessi lenti, di quella che un tempo fu l’Italia migliore e oggi è una parata di nobili zombi. Però, in mancanza di ricambio o coi ricambi avvilenti che ci ritroviamo, sia nel cinema che nella politica, c’è poco da fare i furbi o gli schizzinosi.
Fabio Canessa
(preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
da Voglia di tenerezza (1983) di James L. Brooks con Shirley MacLaine, Debra Winger, Jack Nicholson, Jeff Daniels