Oasi delle nostre vite affannate è il relax. L’infelicità della routine quotidiana intravede una tregua appena può rilassarsi, allentare la tensione, dimenticare il lavoro, aprirsi un varco tra gli obblighi giornalieri. Panacea di ogni nevrosi, pausa da ogni fastidio, rilassarsi è diventata la parola d’ordine di un’umanità profondamente infelice. Siamo circondati da gente che dice di andare al cinema per rilassarsi, di ascoltare la musica classica perché, ohibò, la rilassa, di visitare le mostre di dipinti e sculture perché, Dio li perdoni, si rilassa. E verrebbe voglia di aprirle forzatamente le palpebre come all’Alex di ARANCIA MECCANICA o come fa l’assassino di OPERA di Dario Argento per costringerli a vedere l’opera omnia degli horror di Wes Craven, John Carpenter e Quentin Tarantino. Di farle studiare le Variazioni Goldberg e i Concerti Brandeburghesi di Bach sui volumi più ostici della storia della musica. Di sostituire il cd che scodinzola palloccolosi suonini new age con i riff delle schitarrate dei Rolling Stones al massimo volume. Di imporle un corso universitario su Klee e Kandinsky. Non per sadico dispetto, ma per salvarli dalla dittatura del relax e dal cancro della tiepida superficialità. La verità, pur spiacevole, è questa: se avete un continuo bisogno di rilassarvi avete sbagliato qualcosa, forse tutto. Avete sbagliato mestiere, avete sbagliato moglie o marito, avete sbagliato città, avete sbagliato forse perfino l’epoca in cui nascere. O meglio, nella maggior parte dei casi, non avete sbagliato niente di tutto questo, ma avete sbagliato qualcosa di più fondamentale: avete sbagliato il punto di vista sul mondo. Non avete capito i meccanismi dell’esistenza, i contrappesi e i chiaroscuri che rendono la vita degna di essere vissuta. L’immagine della felicità non è mai quella di qualcuno che si rilassa, al contrario: è la smorfia di dolore che rivela lo sforzo bestiale dell’atleta che taglia il traguardo, lo sguardo pensoso dello studioso chino sulle pagine di un libro, l’espressione accaldata del cuoco che sforna una pietanza pazientemente preparata, la febbrile concentrazione del chirurgo che opera con mano esperta, il passo di danza che esprime una leggerezza frutto di duri e ripetuti sacrifici. Il Catone del Purgatorio striglia severamente Dante, Virgilio e le altre anime che si attardavano a rilassarsi ascoltando il canto di Casella. Perché La Divina Commedia non fu scritta per rilassare il lettore, ma per mettergli addosso la paura dell’Inferno e la voglia del Paradiso. La grande letteratura non è quella che rilassa, ma quella che inquieta: lo scarafaggio di Kafka, l’ossessione per la balena di Melville, lo spleen di Baudelaire, il suicidio di Anna Karenina ed Emma Bovary, i demoni del sottosuolo di Dostoevskji non intendevano rilassare nessuno. Per questo hanno fatto e faranno la felicità di chi li legge. Perché il relax è il nemico della felicità. Ogni volta che non ce la facciamo più, bisogna farcela ancora: stremati dal nuoto, fare ancora una decina di bracciate; fissi con lo sguardo all’orologio in attesa che scocchi l’istante in cui possiamo uscire dall’ufficio, rimanere a lavorare ancora cinque minuti dopo che tutti gli altri sono usciti; leggere altre cinque pagine del libro che stiamo chiudendo. Vedrete che soddisfazione: in culo al relax, sempre dritti verso l’Eden.
Fabio Canessa
La verità, pur spiacevole, è questa: se avete un continuo bisogno di rilassarvi avete sbagliato qualcosa, forse tutto. Avete sbagliato mestiere, avete sbagliato moglie o marito, avete sbagliato città, avete sbagliato forse perfino l’epoca in cui nascere. O meglio, nella maggior parte dei casi, non avete sbagliato niente di tutto questo, ma avete sbagliato qualcosa di più fondamentale: avete sbagliato il punto di vista sul mondo. (da IN CULO AL RELAX, editoriale di Fabio Canessa)
da Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche (City Slickers 1991) diretto da Ron Underwood con Billy Crystal, Jack Palance