DEL LIBRO E DELLA LIBRERIA


Editoriale del 31 marzo 2020

Approfittando di queste settimane di isolamento casalingo forzato, sto risistemando la mia biblioteca, composta da migliaia di volumi che occupano varie stanze, alcune fino a oltre tre metri di altezza. Un piacere sopraffino avere il tempo di togliere i libri, pulire gli scaffali e riordinarli secondo il me stesso del 2020. Non tanto per fare ordine in casa (a me sta più simpatico il disordine, vivace e meno mortuario dell’ordine) ma per fare ordine in me stesso, plasmando e rimodellando la mente. Basta non affrettarsi per vedere tutto a posto; al contrario, il bello è lavorare con lentezza, spolverare ogni volume, dargli un’occhiata, sfogliarlo (dentro un saggio sulla seconda guerra mondiale ho ritrovato con sorpresa una mia foto con Alberto Sordi che davo da tempo per smarrita) e, ogni tanto, sedersi a leggiucchiare qua e là. Perché trovo dei libri che, se avessi visto in libreria, li avrei di sicuro comprati subito. E invece, ganzissima esperienza, sono già miracolosamente nella mia libreria perché li avevo comprati chissà quando e poi completamente dimenticati. Come se, oltre ai ladri, esistessero anche dei “controladri” che fanno il mestiere opposto; cioè entrano in casa tua di notte o quando non ci sei e, invece di portarti via la tua roba, ci mettono la loro. Controladri meravigliosi, perché conoscono pure i tuoi gusti e ci mettono i libri giusti. E’ la stessa esperienza che mi capita quando qualche mio vecchio studente mi racconta una battuta che all’epoca feci in classe: io non me la ricordo ma, quando lui me la riferisce, mi sbudello dalle risate perché, avendola fatta io, è in assoluta sintonia col mio senso dell’umorismo e, non ricordandola, per me è nuova e mi fa sganasciare all’inverosimile. Come un pisello nel suo baccello, diceva Oliver Hardy, mi ha impolverato le mani un saggio intitolato “Del libro e della libreria”. Scendo dalla scala, comincio a leggerlo e capisco sia perché l’avevo comprato sia perché non l’avevo letto. Trattasi di una sofisticata fenomenologia del libro, orchestrata con raffinato snobismo dal filosofo Jean-Luc Nancy, pensatore intelligente e scrittore assai arzigogolato. Complicatore di affari semplici, ma tutt’altro che vacuo e gratuito, Nancy si attorciglia subito fin dalla definizione di libro, che non sarebbe il “contenente” né il “contenuto”, ma l’intrigante “tensione tra i due”. Baloccandosi con un certo compiacimento con la relazione fra libro aperto e libro chiuso, ci convince che già i titoli dei libri esprimono “una forma pura, essenziale ed esclusiva, inimitabile”. Se diciamo “La Divina Commedia” o “Fenomenologia dello spirito”, ecco che questi titoli affidano alla nostra mente sia “il corpo” che “l’idea” che essi enunciano. Sulla scorta di Platone, ogni libro “è un dialogo”, ma anche “un indirizzamento o un appello” che mormora al candidato lettore “leggimi”, presentandosi come un fine in se stesso, “l’involucro di un’interiorità”, un “nastro di Moebius” insieme finito e infinito, una “mescolanza di mondi”. Ma sottotraccia, un libro ci invita anche a gettarlo via per immergerci nell’esperienza della vita, “all’attrito del reale illeggibile”. Nancy sfiora il geniale quando riflette sui quadri che rappresentano scene di lettura, affascinati dall'”attrazione e penetrazione reciproche” fra lo sguardo della persona che legge e il volume che tiene in mano. C’è il lettore, che si lascia “abitare” dai libri, e c’è l’editor, che confeziona l’identità dell’oggetto, nella sua apertura e chiusura. E ci sono poi la tipografia e la stampa, la rilegatura e il magazzino. Infine, “l’entrata in commercio dei pensieri”, nelle vetrine e sui banchi del negozio, la libreria. Vista da Nancy come rosticceria o pasticceria, “officina di sentori o di sapori attraverso i quali si lascia indovinare, supporre, presentire qualcosa come una fragranza o un aroma del libro”. Dove il lettore non legge, ma tocca e sfoglia, “non divora, ma gusta, annusa, fiuta o lecca la sostanza”. Avrà tempo a casa di depositare il libro, per gettarlo in profondità: dentro “la libreria dell’anima”, divoratrice di idee. Lasciando il corpo sugli scaffali della propria biblioteca, nel “labirinto dei libri letti, pasticciati, dimenticati e impolverati … e la piegatura di quegli angoli di pagina la cui immagine ritorna sempre, poiché contengono parole preziose”.   

Fabio Canessa

(Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)

 

Come un pisello nel suo baccello, diceva Oliver Hardy (da DEL LIBRO E DELLA LIBRERIA – Editoriale di Fabio Canessa)

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