DOCUMENTI PREGO


Editoriale del 10 dicembre 2018

Stavo così insonne, così sconfitto, così pericolosamente sull’orlo dell’aggressione che non ho cacciato parola durante tutto il teatrino. “Documenti prego” fa lo sbirro della stazione. Io lo guardo, rido, sfilo il passaporto dalla borsa. Così fa mio fratello. Loro sfogliano, verificano, fotografano le stampe delle frontiere. “Solo un controllo. Prego”. Portavo le scarpe zozze, i sacchi, la kefiah, la barba. La tristezza nel midollo che non sto a raccontare. Eppure mi era piaciuta Trieste, tutte quelle lingue imperiali per strada, la malinconia di un mare che anche con la bora respira breve, le bancarelle dei libri e Saba e Joyce con le pezze al culo di ferro e Magris a giro, la sbobba da bere a due soldi, segno inconfondibile di civiltà. Per guardare quando il sole collassa lento tutto l’ordine del giorno trascorso e sentirsi una cosa sola con i ciottoli delle strade e i portoni antichi. Quante cose avrei potuto raccontare ai signori poliziotti: gli arresti subiti da Hezbollah e dagli israeliani, le onde di maestrale, ciò che non ho capito del loro concittadino e del mio Salvatore Satta, la panada di mia nonna, piatto opulento dei pescatori poveri. Così nel tempo della massa infoiata che invoca lo Stato nazione ho taciuto, e mi sono rifatto iracheno, curdo, palestinese, afghano, pakistano, nigeriano, siriano, senegalese.  Ospitavo nel mio piccolo porto anarco-imperiale tutta la scombinata babele, il bordello che piano si articola e nella generosità e nella regola diventa cultura nuova. Voi, lassù, e gli altri, di sotto e d’intorno, siete già un capitolo miserabile della storia.

Luca Foschi

(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

 

“Documenti prego” fa lo sbirro della stazione. Io lo guardo, rido, sfilo il passaporto dalla borsa. Così fa mio fratello. Loro sfogliano, verificano, fotografano le stampe delle frontiere.

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