ESSERE BISONTE


Editoriale del 15 febbraio 2016

Mi ha sorpreso e debbo dire deluso non trovare in “Butcher’s crossing” del dimenticato e poi riscoperto e oramai classico John Williams (avete letto il miracolo di “Stoner”?) notizia di Jeremy O’Sullivan, considerato il patriarca della gloriosa etologia barbarica. Partorito a New York da uno sfibrato grembo irlandese nel 1849, O’Sullivan sgobbò come prima di lui suo padre Emer in una cancerosa baracca industriale dove l’acciaio veniva piallato per il futuro verticale del paese. Con i pochi soldi raggranellati riuscì ad agganciare l’appena costituita “Holy Spirit Science and Economic University of Newark”, teatro del suo procedere cocciuto e della sua laurea in etologia, “Movimenti e sciami linguistici nella mandria del bisonte americano”. Lavoro di visionaria proiezione scientifica, venne accolto fra gli sberleffi della commissione e dismessa con il minimo dei voti. Fra le conclusioni O’Sullivan scriveva: “Il paradigma della ricerca etologica è nella mescolanza identitaria che lega oggetto e soggetto della ricerca. Sono un animale, dunque studio”. Ormai drammaticamente spiantato, riempì la bisaccia delle sue piccole cose e attraversò la sconvolgente piattezza del paese per sfamare la sua ossessione. Era il 1882 e il capitalismo si declinava nello sterminio dei bisonti, sui corpi scuoiati dei quali O’Sullivan versava lacrime come sugli avanzi di una pioggia apocalittica. In Colorado, il caso e una gora lo condussero in quella che molti oggi ritengono essere la stessa valle descritta da Williams, un paradiso mai calcato da uomo dove alberi e bisonti respiravano con la stessa calma dell’eternità. Lavorando di coltello ricavò da una carcassa caduta per vecchiaia un vestito da bisonte, con il quale cominciò il lento processo di assimilazione nella mandria. Le annotazioni nel suo diario ancora oggi illuminano l’episteme della ricerca etologica. Dopo due anni era parte integrante del poderoso organismo collettivo, parlava la lingua dei grugniti, delle incornate e del movimento. Una crisi lo fece vacillare al quarto, quando un non meglio descritto incidente (molti ipotizzano una sodomizzazione di gruppo) infilò fra le sue regredite e irsute sinapsi l’immagine scintillante di New York. All’arrivo nella vallata di Miller e Andrews, protagonisti dell’epopea williamsiana, O’Sullivan aveva ormai perso l’appercezione dell’homo sapiens. Era diventato un bisonte e il genio delle scoperte sarebbe rimasto per sempre imprigionato nel suo muto istinto di bestia, una stanza sbarrata fra gli impenetrabili labirinti della natura. Il massacro che seguì l’arrivo dei cacciatori lasciò di lui un corpo nudo e sfinito sotto l’ormai liso costume di bisonte. E un diario.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

COGLI L’ATTIMO

 

da Il piccolo grande uomo (Little Big Man 1970) diretto da Arthur Penn, con Dustin Hoffman e Chief Dan George

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