FUNERAL BLUES


Editoriale del 11 giugno 2019

Tempi luttuosi per gli appassionati della grande musica americana. Quella tradizionale, delle radici, carica di blues e di swing. Non abbiamo fatto in tempo a commemorare Leon Redbone che è morto anche Dr. John. Lo conoscemmo in quel capolavoro di Martin Scorsese che è “L’ultimo valzer”, dove cantava la deliziosa “Such a night” che Arbore trasformerà in “Smorz’ ‘e lights”. Poi lo abbiamo visto ogni volta incantati in concerto a Roma e a Perugia. Il nome vero era Malcom John Rebennack ed era diventato un musicista perché il padre aveva il miglior negozio di dischi di New Orleans e lui ascoltava di tutto con entusiasmo. Scrisse canzoni ipnotiche e psichedeliche, intrise del sapore delle paludi della Louisiana (i bayou) e ispirate ai riti voodoo, alle sfilate del Martedì grasso e ai funerali accompagnati dalla banda. Scrisse canzoni cupe e divertenti (una straordinaria fu la colonna sonora del cartoon Disney “La principessa e il ranocchio”), speziate come il cibo di New Orleans: il “Gumbo”, una zuppa saporitissima che dà il titolo al suo album più bello, e la “Jambalaya”, un riso piccante con carne e crostacei che dà il titolo a una celebre canzone di Hank Williams. Se volete gustare lo stile inconfondibile che miscela jazz e rhythm and blues, gospel e rock and roll, il piano col tocco di Fats Domino e la voce alla Professor Longhair, ascoltate capolavori come la trascinante “Iko Iko” o la sua hit “Right place wrong time”. Per elaborare il lutto, ho telefonato a Renzo Arbore, che gli fu amico: mi ha raccontato che andò a trovarlo al Golden Gate di New York per fargli ascoltare la versione italiana, anzi napoletana (tutta giocata sulle rime tronche), della sua canzone, che Dr. John approvò e poi quando, anni dopo, incontrò di nuovo Arbore in uno studio televisivo della Rai, non lo riconobbe e gli disse che in Italia c’era un pazzo che lo pagava 5 mila dollari per fare la sua canzone. E andò all’agenzia SIAE romana dell’EUR, per controllare che gli fossero stati depositati i diritti. Nonostante questo, dice il grande Renzo che per lui Dr. John è stato sempre un punto di riferimento, un beniamino e un amico. Del resto l’attaccamento al denaro non è stato il più grave dei suoi difetti, se da giovane era finito in galera per spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione. Senza contare che iniziò la sua carriera come chitarrista, ma poi fu coinvolto in una sparatoria che gli portò via un dito e gli toccò passare al pianoforte. Come per Jerry Lee Lewis e molte altre rockstar statunitensi del passato, una giovinezza turbolenta si incanalò nell’energia del talento musicale e la loro vita, per citare Lou Reed, “fu salvata dal rock and roll”. La risposta italiana del presente inverte questo percorso in una tragicomica parodia: noi abbiamo Marco Carta, che prima ha vinto “Amici” e “Sanremo”, poi, essendo privo di talento musicale, è sparito dalle scene e adesso è stato beccato a rubare magliette ai grandi magazzini. Come cantava Lucio Dalla, “che pena, che nostalgia”.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)

Lo conoscemmo in quel capolavoro di Martin Scorsese che è “L’ultimo valzer”, dove cantava la deliziosa “Such a night” che Arbore trasformerà in “Smorz’ ‘e lights” (da FUNERAL BLUES – Editoriale di Fabio Canessa)

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