GENOVA PER NOI


Editoriale del 28 agosto 2018

“Quel ponte sembrava far parte delle cose che durano in eterno; non era pensabile che si spezzasse”. Così inizia “Il ponte di San Luis Rey”, scritto da Thornton Wilder nel 1927. Nel romanzo il crollo del ponte provoca la morte di cinque persone. Ognuno, “appena ricevuta la notizia della disgrazia, si fece il segno della croce e mentalmente calcolò: quanto tempo prima lo aveva attraversato per l’ultima volta, fra quanto tempo aveva avuto in animo di attraversarlo”. Solo un frate si chiede “perché Iddio scelse quelle persone e stabilì quel giorno”. Per cercare di capire, il sant’uomo ricostruisce in un libro la vita e le personalità delle cinque vittime, così come aveva catalogato i morti della peste che ha colpito il villaggio, assegnando a ciascuno di essi un voto da 1 a 10 in bontà, devozione e utilità. Le indagini finiscono male: per l’epidemia “pareva che la peste avesse preso di mira le persone veramente pregevoli del villaggio”, per il crollo del ponte va pure peggio. Nonostante lo scrupolo più rigoroso e la miglior buona fede, il frate ha le idee confuse: “credette di vedere, nella stessa catastrofe, i perversi colpiti dalla distruzione e gli innocenti chiamati giovani in cielo”. Ogni uomo, in ogni approfondita biografia, a seconda del lato da cui lo si considera, può sembrare talmente colpevole da risultare degno della punizione divina o così umanamente bello (una bella persona, come dicono oggi) da meritare di essere tolto il prima possibile dalle miserie terrene e trasportato in Paradiso. Ma la vera tragedia è che il libro viene giudicato eretico (siamo nel 1714) e il povero frate, che ha avuto la presunzione di comprendere le imperscrutabili e infinite vie del Signore, condannato al rogo. Siccome è davvero pio, dà ragione ai suoi accusatori e si convince di essere stato strumentalizzato dal diavolo. Eppure, trascorre l’ultima notte seduto nella sua cella “cercando nella propria vita quel disegno che gli era sfuggito nelle vite degli altri cinque”. Nelle pagine finali di questo bellissimo romanzo, si parla di Grazia e di quello che è per tutti noi il vero ponte, fonte di sopravvivenza e di significato: l’amore. Ma la più profonda chiave di lettura del testo, la posizione dell’autore nei confronti del lavoro del santo frate (insieme inchiesta giornalistica, arte letteraria, ricostruzione storica e indagine teologica) è la fascinazione per il dilemma che lo (li, ci) arrovella, espresso come meglio non si potrebbe: “Alcuni sostengono che non sapremo mai, che per gli dei noi siamo come le mosche uccise dai bambini nelle giornate estive. Altri dicono che perfino i passeri non perdono una penna senza che il dito stesso di Dio si muova per farla cadere”. Chi ha ragione, secondo Thornton Wilder? Lo scopriremo solo morendo.
Fabio Canessa
(Preside del Liceo Olistico Qujiote di Aristan)

Quel ponte sembrava far parte delle cose che durano in eterno; non era pensabile che si spezzasse”. Così inizia “Il ponte di San Luis Rey

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