GEOMETRIE DEL DESIDERIO


Editoriale del 10 novembre 2015

Con la scomparsa di René Girard ci siamo ritrovati orfani in un colpo solo del maggior pensatore, filosofo e critico letterario contemporaneo. Diventato famoso, giusto cinquant’anni fa, scrivendo “Menzogna romantica e verità romanzesca” (Bompiani), con il quale iniziò a scandagliare i meccanismi del desiderio nei grandi romanzi dell’Occidente, da Cervantes a Proust, da Flaubert e Stendhal a Dostoevskij. Alla menzogna romantica di un io che desidera genuinamente, Girard contrappone la triangolazione mimetica: il desiderio puro non esiste, perché l’obiettivo vero non è possedere l’oggetto del desiderio, quanto sostituirci a colui che a sua volta sembra desiderarlo. In un mondo senza Dio, sostiene Girard, gli uomini sono diventati dèi gli uni per gli altri e la dinamica dei nostri sentimenti è dominata dalla volontà di modellare l’esistenza su un mediatore, nei confronti del quale si prova un misto di ammirazione, concorrenza, avversione e invidia. Convinto che l’ossimoro non sia solo una figura retorica letteraria, ma la regola che presiede le nostre anime e guida i nostri comportamenti, Girard rintraccia lo schema del desiderio triangolare nel Medioevo di Chrétien de Troyes e Dante, nelle tragedie di Shakespeare e di Racine, fino ad André Malraux e al mito di Don Giovanni. E in un corto circuito vertiginoso con la contemporaneità, fa trasparire dietro il carisma delle rockstar o degli uomini di potere odierni il retaggio dell’aura dei cavalieri antichi. Ancor più facile è la lettura mimetica del celebre episodio dantesco di Paolo e Francesca: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” esplicita l’incantesimo esercitato dalla parola scritta per provocare l’imitazione del modello letterario di Lancillotto. Altro che passione amorosa irrefrenabile. A mandare all’Inferno i due amanti è stata la mediazione del libro e il desiderio di sostituirsi agli eroi del romanzo. Se Paolo avesse potuto avere tra le sue braccia Ginevra e Francesca Lancillotto, chiosa perfidamente Girard, non avrebbero esitato un attimo a scegliere i prototipi. Contro il pregiudizio di un individualismo che desidera spontaneamente, Girard ci svela come ogni attrazione sia il frutto di un complicato intreccio di relazioni con gli altri e implichi sempre la presenza necessaria di un ostacolo. Altrimenti l’amore non può alimentarsi. E’ il caso di Romeo e Giulietta, una love story che sarebbe “irrimediabilmente piatta” se non si nutrisse dell’odio tra le rispettive famiglie. Senza l’intensità del conflitto, come potrebbe accendersi una passione così infuocata? Da tale circolo vizioso nascono i plot delle tragedie, ma anche il sadismo e il masochismo, la seduzione e la civetteria, il voyeurismo e le perversioni, l’indifferenza ostentata del dandy e la dissimulazione della dark lady. Per lo stesso motivo si dice che i grandi amori sono quelli inappagati: l’appagamento spegne il desiderio. I geni della letteratura di ogni tempo hanno capito tutto questo in anticipo: non c’era bisogno di aspettare André Gide per sapere che “con i buoni sentimenti non si fa buona letteratura”. E neppure si è in grado di raccontare come funziona l’uomo.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

COGLI L’ATTIMO

 

da L’amorosa menzogna (1949) documentario diretto da Michelangelo Antonioni

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