GIORNI NERI DI TITOLI COME UN TEMPORALE


Editoriale del 7 giugno 2020

Chissà se Pavese, nell’albergo di Torino degli ultimi giorni, prima di partire per sempre, ancora si interrogava sul ritorno. L’ultimo suo scritto era stato pubblicato pochi mesi prima. Era il 1950 e la storia di Anguilla che nel secondo dopoguerra ripercorre a ritroso la strada che dalle Langhe lo aveva portato prima a Genova e poi in America è la storia di tutti, anche di quelli che non si sono mai imbarcati lasciandosi alle spalle il mondo piccolo che il caso ha assegnato loro. Anche la storia dell’amico d’infanzia Nuto, legato alla terra e alle tradizioni di un paese che non ha mai guardato da lontano. Nuto che ha conosciuto il mondo per quel tanto che è penetrato tra le colline attraverso musica, forestieri e vecchi libri. E Cinto, l’adolescente claudicante che forse il mondo non lo vedrà mai, schiacciato dalle botte del padre e dalla sorte. O forse no, visto che Anguilla lo stuzzica, gli fa venire “le voglie”, proprio a lui, instabile nei passi inchiodati alla campagna tra la casa e il fiume. «Ho girato abbastanza per sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono», spiega Anguilla al principio, «ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione». Se l’identità fosse questo, un incrocio insondabile tra distanza e ritorno, una scelta tra tante per poter finalmente aderire al mondo, allora saremmo salvi. Questo lo sa anche Nuto che la nave per Genova non l’ha mai presa, che è partito senza muoversi dalla provincia. Sa che soltanto i cani “abbaiano e saltano addosso ai cani forestieri”. E sa che «il padrone aizza un cane per interesse, per restare padrone, ma se i cani non fossero bestie si metterebbero d’accordo e abbaierebbero addosso al padrone». Di questa lezione Anguilla si ricorda in certi giorni in cui non ha neanche più voglia di sapere cosa succede, quando i giornali che lo raccontano sono “fogli neri di titoli come un temporale”. Che poi, in fondo, sono anche i nostri di giorni, giorni nei quali si fa un grande abbaiare.

Eva Garau (Precaria di Aristan).

Chissà se Pavese, nell’albergo di Torino degli ultimi giorni, prima di partire per sempre, ancora si interrogava sul ritorno. (da GIORNI NERI DI TITOLI COME UN TEMPORALE, editoriale di Eva Garau)

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