Molti fra noi avranno esitato sui maccheroni alla vista della striscia di sangue tracciata dal cranio dell’orso tibetano nelle fabbriche della bile. Ve lo sparano sempre in coda al tiggì, la pastella edulcorante, dritto in calce agli orrori politica internazionale, un sorbetto peloso omogeno alla notizia precedente e pur tuttavia sublimato in un accento di speranza. I cinesi torturano i meravigliosi orsi tibetani perché convinti delle poderose qualità taumaturgiche della loro bile. Quindi li chiudono in una gabbia fin dalla nascita e con un tubo piantato nella cistifellea gli spompano la vita che finirà in pomate e cataplasmi fibrosi, esotico contrasto per i divoratori sugosi di tiggì, perché, indovinate, la Cina è bruto comunismo capitalista e ancestrale conservazione rurale, gnam, un mezzo rutto prima dello sport. Gli orsi tibetani conoscono l’esistenza non nel piacere delle entragne altrui o nelle notti serene e impenetrabili, la brina sulle foglie e l’ombra e il silenzio, ma nelle pappe insulse fornite dai carcerieri che si aggrumano in nuova bile. Nel frattempo crescono dentro sbarre che rimangono identiche per anni. Le ossa implodono, la carne si sfalda in pieghe purulente, arrivano paralisi, follia e suicidio, naturalmente sventato con l’estrazione di zanne e artigli. L’unica soluzione è lo spappolamento del cranio fra pareti e sbarre, uno schizzo viscoso e bruno, gnam. Ma attenzione attenzione, una ONG è riuscita dopo anni di fatiche a salvare un piccolo orso, ora ennesima epifania globale della guerriglia che strisciando fra le giungle legali riesce a interrompere il ciclo della barbarie. Se siete in solitudine al desco potete perfino tirare un peto, il vostro distopico sospiro di sollievo. La storia procede verso la ragione e lentamente, inesorabilmente la neve del bene spegnerà l’incendio maligno dell’agire umano. È l’avanzo illuministico, piagnone e spettacolare, la nostra pappa orsica. Frugatevi il presente, da qualche parte troverete il tubo biliare, le infinite forme dell’estrazione libertaria, la suzione di ogni ipotesi di dignità e coraggio. Potete spalmare la metafora e identificare dio o la filosofia o l’amore nella nobile ONG. Io non vado oltre quella capocciata di sangue. Va da sé che, per tutto il resto, gli orsi tibetani hanno rotto i coglioni.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)
COGLI L’ATTIMO
da La ricotta (1963), scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Con Orson Welles e Vittorio La Paglia