(La Caccia al Tesoro Biffi ci portava alle Catacombe di Santa Leduina.)
L’appuntamento era per le 10 del mattino all’ingresso delle catacombe. Trovai Cristina che aspettava sotto il sole estivo, in abito da sera blu, con scarpe argentate a tacco alto e un diadema con zaffiri e brillanti su oro bianco. L’anacronismo era giustificato dalla sfolgorante bellezza, che faceva girare la testa ai turisti presenti. Filippo, invece, non c’era. L’aspettammo inutilmente mezzora; infine entrammo nelle gallerie con un gruppo di turisti scozzesi in kilt e una decina di gatti neri. Il sito archeologico era pieno di gatti liberi e indisturbati (tutti neri); godevano del massimo rispetto perché una leggenda popolare li descriveva come la reincarnazione dei defunti seppelliti nelle catacombe. Così, per tutta la visita, sopportammo un devastante puzzo di pipì di gatto. La guida turistica, bravissima, sviluppò la descrizione in tre lingue: italiano, inglese e aristanese (quest’ultima in omaggio a Cristina, Sindaco di Aristan). Questo fatto triplicò il tempo di visita: ci ritrovammo all’aria aperta (finalmente!) solo dopo tre ore, e senza aver trovato alcun indizio per proseguire nella caccia al tesoro. Cristina si fermò davanti all’uscita a contemplare un vecchio muro coperto di graffiti plurisecolari; mentre io mi spostai al bar accanto: seduto a tavolino davanti a una grande coppa di gelato al cioccolato c’era Filippo, assorto a disegnare sui tovagliolini del bar. Il drammaturgo improvvisò una complicata storia che giustificava il suo ritardo e si chiudeva con la decisione di aspettarci all’uscita. Un urlo di gioia ci fece voltare verso Cristina: aveva trovato l’indizio! Tra le centinaia di graffiti c’era un “BIFFI 1916” (l’anno di deposito della Donazione all’origine della caccia al tesoro); e sotto, una freccetta indicante un simbolo fallico (?), e dopo di questo lo schizzo del Faro Testa d’Avorio (prima sosta della nostra ricerca). Altre freccette indicavano le varie tappe compiute, fino all’ultima che, disegnata sotto un gruppetto di gatti, portava all’abbozzo di un edificio perfettamente riconoscibile: la sede dell’Accademia dell’Uovo.
Carlo M.G.Pettinau
(Archivista dell’Oblio)
“Il sito archeologico era pieno di gatti liberi e indisturbati (tutti neri); godevano del massimo rispetto perché una leggenda popolare li descriveva come la reincarnazione dei defunti seppelliti nelle catacombe”.
(da GRAFFITI di Carlo M.G. Pettinau)
“Volevo un gatto nero” (Maresca – Soricillo – Framario) canta Vincenza Pastorelli