HORROR VACUI


Editoriale del 22 maggio 2018

Morti Taviani e Olmi ci rimane Sorrentino. Non è una facile battuta da vecchi brontoloni laudatores temporis acti (altrimenti uno potrebbe dire “Morto Umberto Eco ci rimane Fabio Canessa” che fa anche più ridere). E’ una oggettiva analisi dello stato di un cinema che ha perduto la polpa e gli è rimasta la buccia. Uscito “Loro 1”, i critici perplessi hanno preso tempo e fiato con la scusa che non si poteva giudicare il primo film senza aver visto il secondo. Non è vero, perché non è che bisogna ingoiare tutta la bistecca se al primo assaggio si sente che è avariata. Però, siccome abbiamo sempre criticato Filippo Martinez, capace di uscire dalla sala durante i titoli di testa se qualcosa lo indispone, abbiamo pazientemente aspettato di vedere “Loro 2”. Così ora possiamo esprimere un netto giudizio negativo su un’opera tanto ambiziosa quanto irrisolta. Pur pensando in grande (i modelli sono Fellini, Scorsese e Lynch) il talento visionario di Sorrentino si è appannato in un manierismo iperbolico, kitsch e barocco condito da una rancida salsa pop. Il suo ritratto di Berlusconi si riduce a una scorpacciata di escort e cocaina nel primo film e in un verboso radiodramma nel secondo. Un budget di lusso sprecato porta a casa un insopportabile Toni Servillo da macchietta (nei momenti migliori ricorda Albanese), una goffa mimesi della cronaca più risaputa senza far ridere né pensare, dialoghi ingenui dove Veronica Lario parla come un’intellettuale di sinistra e legge Brodsky e Saramago, i soliti vezzi gratuiti con animali messi a cazzo qua e là a significare chissà che (una pecora che muore per il refrigeratore, un topo che fa sbandare un camion, un rinoceronte a spasso per Roma), metafore pretenziose miste a vuote caricature di personaggi reali (il peggiore è Ugo Pagliai che fa Mike Bongiorno), inutili ed estenuanti siparietti musicali con Apicella, inquadrature sofisticate (almeno la maestria tecnica gli va riconosciuta) in cerca di una sceneggiatura. La diarrea narrativa affastella le sequenze senza una struttura (gli va riconosciuto anche di aver visto “La dolce vita”), senza pensiero, senza divertimento e senz’anima. Per chiudere il tutto con un’incongrua citazione felliniana: un Cristo viene estratto dalle macerie del terremoto dell’Aquila. Se Berlusconi rappresenta il vuoto, il cinema di Sorrentino è sotto vuoto spinto. Se il vuoto racconta il vuoto girando a vuoto, completamente svuotato si sente lo spettatore dopo quasi quattro ore di fuffa. “Con un terrore da ubriaco”, chioserebbe Montale.

Fabio Canessa

Preside del Liceo Olistico Quijote

La diarrea narrativa affastella le sequenze senza una struttura (gli va riconosciuto anche di aver visto “La dolce vita”), senza pensiero, senza divertimento e senz’anima. (da HORROR VACUI, editoriale di Fabio Canessa)

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