Ricordando Pia Pera, maestra di scrittura e di giardini recentemente scomparsa (26 luglio 2016) penso a quanto crescesse rigogliosa la vegetazione là dove mio nonno seppelliva i suoi cani, nel grande orto in cui sono cresciuto. Morti di vecchiaia o uccisi perché impazziti, sembravano trovare un’altra vita reincarnandosi in fiori e piante. Ora sembra che sarà quella la nostra sorte, in un’epoca ossessionata dal naturale e nella quale i morti e il loro inutile viatico (bare zincate, lumini, lapidi, croci, rosari, cravatte, scarpe, pelouche…) non sono altro che rifiuti da smaltire. Non ci sarebbe niente di nuovo, nella storia dell’umanità non si contano i cadaveri finiti sottoterra tout court. Nei Green Burial Sites però, diffusi ormai in molti paesi, l’attenzione per la natura supera di gran lunga quella per il morto. Si viene interrati nudi in una vasta distesa verde, tra boschi e ruscelli, in un involucro biodegradabile al cento per cento. I parenti cercano tracce del caro estinto osservando i progressi di un filo d’erba, di un olmo o di una betulla. Per non contaminare la terra, prima di essere sepolti, i morti vengono privati di eventuali protesi non importa se di titanio o di silicone, di parrucche o parrucchini, delle otturazioni dentali, di occhi di vetro e pacemaker. Nei cimiteri più sensibili alle sorti del pianeta, al defunto si asportano anche fegato e rene, carichi di metalli pesanti. E gli si leva pure la pinguedine, contaminata da pesticidi. Perché il futuro, che ci piaccia o no, è biologico.
Marco Schintu
(Ufficio pesi e misure di Aristan)
…si viene interrati nudi in una vasta distesa verde, tra boschi e ruscelli, in un involucro biodegradabile al cento per cento. I parenti cercano tracce del caro estinto osservando i progressi di un filo d’erba, di un olmo o di una betulla.
(da IL BIOLOGICO ESTREMO editoriale di Marco Schintu)