Se ho una torta e la divido in tre parti otterrò, ovviamente, tre fette. Ma se voglio prendere in considerazione tutte le componenti risultanti da questa suddivisione, la situazione cambia: in tal caso avrò la torta intera, la torta vuota, la fetta 1, la fetta 2, la fetta 3 e tutte le relazioni tra le fette: tra la 1 e la 2, tra la 1 e la 3 e tra la 2 e la 3. Otto parti in tutto: 2 (numero fisso) elevato a 3, numero delle fette.
Poniamo ora che la torta sia infinita: quante saranno le sue componenti? Applicando la stessa regola avremo 2 (numero fisso) elevato a infinito: 2¥.
Mi trovo quindi di fronte a due infiniti di diversa entità. Quello della torta, e quello delle sue componenti, che è molto più grande, dato che è il risultato di un’operazione di elevamento a potenza. Per questo l’infinito, come scrive Borges in Metamorfosi della tartaruga, “è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri”, molto più del male. Quest’ultimo, infatti, ha un impero limitato, quello dell’etica: l’infinito, invece, una volta concepito e ammesso nella nostra testa, diventa un tarlo che corrode i nostri pensieri e li fa esplodere. Un hotel che ha infinite camere sarà in grado di accogliere sempre infiniti nuovi ospiti: basta spostare l’ospite della camera n. 1 nella camera n. 2, quello della camera n. 2 nella n. 4, quello della n. 3 nella n. 6 e così via. Si liberano in tal modo tutte le camere dispari, e com’è noto i numeri dispari sono essi stessi infiniti. L’infinito, come questo hotel, è in grado di ospitare sempre nuove idee. È un’immensità in cui, come intuì Leopardi, il pensiero s’annega, provocando una sensazione di dolce naufragio.
Silvano Tagliagambe
(Iconologo di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
da Totò le Mokò (1949) diretto da Carlo Ludovico Bragaglia con Totò