Il grande poeta russo Osip Mandelstam scrisse che Dante conosceva la scienza degli addii. Ci potrebbe tornare utilissima in questi nostri tempi scanditi solo dai festeggiamenti per i compleanni di artisti anzianissimi e dalle commemorazioni delle loro morti o degli anniversari di nascita o morte di glorie del passato. A volte le celebrazioni coincidono quasi, come nel caso di Franca Valeri, della quale non abbiamo fatto in tempo a festeggiare il centenario che ci è toccato omaggiare la scomparsa. Stesso discorso per Gianrico Tedeschi, così come la festa per i 90 anni di Ennio Morricone si è moltiplicata nei toni celebrativi della condoglianza al momento della morte. E poi mostre importanti e omaggi televisivi, copertine e paginate di giornali per il centenario della nascita di Federico Fellini e Alberto Sordi, nonché per il ventennale della morte di Vittorio Gassman. Il quale scrisse l’autobiografia “Un grande avvenire dietro le spalle”, che oggi sarebbe un titolo perfetto per l’autobiografia dell’Italia contemporanea (secondo Piero Gobetti, l’autobiografia degli italiani del suo tempo fu invece il fascismo). Abbiamo infatti travasato tutto il nostro sangue nei miti di ieri, sentendoci soprattutto orfani orgogliosi di talenti che sembrano non avere avuto un ricambio. Prima non era così. Se andate a leggervi i quotidiani dei giorni in cui morirono Ugo Tognazzi, Sergio Leone o Nino Rota, troverete un ampio coccodrillo nella pagina degli spettacoli con un richiamo in prima pagina, così come lo spazio nei telegiornali fu limitato, rispetto al presente. Ebbero la sfortuna di morire troppo presto. I primi defunti illustri che si ritrovarono a riempire le prime quattro o cinque pagine dei quotidiani e ad aprire i telegiornali furono Fabrizio De André e Marcello Mastroianni. Con la loro scomparsa evidentemente la bilancia degli artisti cominciò a pesare di più sul piatto dell’aldilà, come se ci fossimo resi conto che il numero dei talenti finiti all’altro mondo si stava facendo maggiore di quelli che erano rimasti in questo. Sensazione che, pian piano, da Massimo Troisi a Giorgio Gaber, da Umberto Eco a Lucio Dalla, da Mario Monicelli a Luciano Pavarotti si è amplificata sempre più (ma anche a Indro Montanelli, Enzo Biagi e, pochi giorni fa, a Sergio Zavoli sono stati riservati onori e ricordi che per i giornalisti in precedenza erano insoliti). Da una parte potrebbe essere un segnale buono, quello di dare oggi all’arte e allo spettacolo molta più considerazione di prima (e parallelamente si è invece sgonfiata quella per i politici: Giulio Andreotti o Gianni De Michelis avrebbero avuto un trattamento parecchio diverso se fossero morti trent’anni fa), però siccome la grancassa è suonata anche per Mike Bongiorno, l’impressione è che stiamo piangendo non tanto la scomparsa della cultura ma della nostra età dell’oro. Quella spensierata nata ai tempi del boom economico, insieme al quale sono esplosi anche tutti gli uomini di spettacolo morti negli ultimi anni e nominati sopra, che, in un modo o nell’altro, hanno formato e nutrito l’immaginario degli italiani dal dopoguerra a oggi. Allarghiamo gli spazi per gli addii, i necrologi e i coccodrilli perché vogliamo bene a quel passato e non al nostro presente, ma soprattutto perché non abbiamo alcuna fiducia nel futuro. Il programma televisivo più visto (anche dai giovani!) è “Techetechete”, i registi più prestigiosi del nostro cinema sono Marco Bellocchio e Pupi Avati, gli uomini di spettacolo più amati Renzo Arbore e Adriano Celentano. Hanno tutti superato gli ottant’anni, ma rappresentano per una società stanca e spenta i bagliori dell’energia vitale di un passato fantastico di cui si ha una forte nostalgia.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
Stiamo piangendo non tanto la scomparsa della cultura ma della nostra età dell’oro. Quella spensierata nata ai tempi del boom economico, insieme al quale sono esplosi anche tutti gli uomini di spettacolo morti negli ultimi anni e nominati sopra, che, in un modo o nell’altro, hanno formato e nutrito l’immaginario degli italiani dal dopoguerra a oggi (da IL LUNGO ADDIO – Editoriale di Fabio Canessa)