Robert X arrivò con la bici e le mollette pinzate sull’orlo dei pantaloni. Davanti all’ambasciata egiziana di Hyde Park si contestava Hosni Mubarak. Era il gennaio del 2011 e il risveglio del popolo arabo non era ancora tralignato nell’ennesima apocalisse di morte e miseria. Nelle periferie del sogno aspettavano pazienti i nuovi incubi della storia. Robert X prese a distribuire volantini sediziosi. Mi chiese della situazione, mancava da qualche ora. Si definiva un marxista scientifico. Veniva dal Texas e a Londra, sosteneva, campava di traduzioni e articoli. Io facevo il cameriere, studiavo giornalismo e trascorrevo tutte le ore disponibili per strada, in mezzo ai bordelli, a scrivere e scattare. La cronaca degli uomini aveva un nuovo capitolo e il giovanotto sbigottiva, agganciava una zattera nel flusso. Diventammo amici. Con un tocco di cospirazione Robert X mi dava appuntamento per una birra o un tè in qualche oscuro pub del centro. Era molto buffo. Parlavamo della rivoluzione e del suo significato. Di Negri, Lukàcs, Chomsky, e Gramsci. Era gentile, e libero nella fresca assenza dei secoli che caratterizza molti americani. I pistolotti sulla filosofia della storia avevano il linguaggio dei compagnoni in una sala da bowling. Ascoltava con pazienza le mie oscure teorie e il mio inglese aggrovigliato. Scoprimmo di avere in comune la passione per il tennis. Così spesso ci prendevamo a pallate. Me le suonava sempre, nonostante i suoi 60 anni. Giocavamo rigorosamente nei campi pubblici. Ogni tanto Robert X spariva per Berlino o Parigi. Riunioni fra compagni. Non aggiungeva mai molto. Poi venne il primo maggio. Il Labour Party aveva organizzato una manifestazione contro l’austerity di Cameron e c’era nell’aria puzza di scontri. Il turno in sala finiva alle 6, ma Antonella, la manager, mi liberò alle 3. S’era impietosita vedendomi schiacciato ad annebbiare la vetrata d’ingresso, mentre in Oxford street sfilava il corteo. Avevo la macchina fotografica con me. Chiamai Robert. Ci incontrammo a Marble Arch. Andava di fretta. Mi disse solo: “Vai a Piccadilly, gli anarchici si stanno preparando”. Lo salutai frettolosamente, mentre qualche impegno lo trascinana via, vestito del suo adorato, elettrico popolo. Mi trovai in mezzo agli scontri fra i libertari e la polizia, e conobbi l’adrenalina stillata in parole e immagini. La realtà si semplifica nella battaglia. È un luogo che vive di velocità, di una certa purezza. Solo, il passaporto devi meritarlo. Ci avrei lavorato su. Fu l’ultima volta in cui vidi Robert X, seme texano di un sogno impossibile.
See ya there, buddy.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)
“La realtà si semplifica nella battaglia. È un luogo che vive di velocità, di una certa purezza”. Da Il marxista impossibile, editoriale di Luca Foschi