IL SAPORE DELLA FELICITÀ


Editoriale del 15 dicembre 2013

Inizia da lontano. Dal profumo del soffritto a quello del caffè.
Certi cibi, sin dagli stimoli olfattivi attivano speciali circuiti nervosi dove si trovano i nuclei cerebrali della gloria al cibo e alla vita, gli stessi che nascondono il vero universo della gioia umana allo stato puro. Le osservazioni aneddotiche sulla felicità delle persone grasse potrebbero avere dunque solidissime basi scientifiche.
Come mai allora non sentiamo parlare altro che di dieta, di diabete di vario tipo e della tragedia dell’obesità patologica?
 I meccanismi biologici che controllano la fame e la sazietà sono sostanzialmente gli stessi di diecimila anni fa, mentre l’ambiente, nello stesso periodo e soprattutto nel cosiddetto mondo sviluppato (sic!) è molto cambiato.
Forse il problema è tutto qui. Non possiamo infatti che continuare a conservare un approccio primordiale alle scorte alimentari indipendentemente dal fatto che siano sovrabbondanti o insufficienti. Sappiamo che esistono determinanti familiari, sociali e ambientali nella genesi dei peccati di gola che ci spingono alle abbuffate e persino ai successivi sensi di colpa.
Ma tutto ciò non basta perché il cibo diventi malattia. È necessaria una base etologica su cui il desiderio irresistibile di mangiare cresca e divenga incontrollabile. Dato che gli animali non sono esperti di fisiologia della nutrizione, scelgono i cibi seguendo il proprio gusto e il proprio olfatto. Alimenti che hanno un sapore migliore e, ovviamente, sono maggiormente calorici vengono preferiti. Si ipotizza che nei golosi patologici i meccanismi cerebrali che controllano la sazietà siano sovrastati dal sistema del piacere costringendo l’individuo che crede di essere in astinenza da cibo a cercare altro cibo, proprio come una droga, senza fermarsi mai, neppure dopo che ha appena finito di mangiare. Ci sono esseri umani che possono ingurgitare sino a 25.000 calorie al giorno.
A differenza delle droghe l’ingordigia utilizza però programmi cerebrali appositamente concepiti per quello, per costringere tutti gli animali e gli uomini ad alimentarsi e, se necessario, a faticare per farlo. O almeno così era sino a qualche secolo or sono, mentre ormai basta entrare in un bar.

Luca Pani
(Psiconauta ad Aristan)

COGLI L’ATTIMO

 

da Lo chiamavano Trinità (1970) diretto da Enzo Barboni, con il nome d’arte di “E.B. Clucher”. Con Terence Hill e Bud Spencer

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