INCOMUNICABILITÀ


Editoriale del 6 maggio 2014

Per uno come me che, per indole e buonumore, è abituato, da 25 anni, a parlare un italiano pochissimo ingessato, è davvero un patimento. Tu gli dici “sono stanco morto” e lui ti rassicura che non sei ancora morto, visto che chiacchieri. Tu gli dici “ho fatto un sacco di risate” e lui cerca il sacco. Con santa pazienza, gli spieghi che è un modo di dire, che non c’è nessun sacco. Lui ascolta con attenzione, aggrottando le sopracciglia per lo sforzo sovrumano di comprendere, poi assicura di aver capito, ma lo sguardo tradisce un misto di ottusità e diffidenza. Dopo qualche giorno, torna educatamente all’attacco, perché ha un sacco in cantina che non usa e si offre gentilmente di prestartelo. Tu gli rispondi che non ha capito un cazzo, che non ti serve nessun sacco, ripeti che si trattava di una delle figure retoriche più diffuse: si chiama iperbole, la può trovare in qualsiasi manuale scolastico. Lui annuisce pensoso, mugola un “mmhhh” e conferma di aver capito benissimo. Però subito dopo ribadisce ostinato che comunque, per ogni evenienza, il sacco nella sua cantina c’è, a tua disposizione, a lui non serve, se lo vuoi te lo dà volentieri. Parafrasando Ungaretti: “Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in sintonia”. Un senso di prostrazione ti invade, perché l’incomunicabilità è disarmante e immedicabile se la comunicazione esige una dimensione assolutamente letterale, fino a sfiorare candidamente l’assurdo. Tanto da sbugiardare Seneca il vecchio, convinto com’era che “l’iperbole osa più di quanto spera”.

Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan

COGLI L’ATTIMO

 

da Forrest Gump (1994) diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Tom Hanks

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