Visto che succede in Palestina? Sempre la stessa roba, dite? Ma esattamente cosa, poi? Ecco, appunto. Qualche giorno fa in città è arrivato Ilan Pappè, gigante della storiografia israeliana in volontario esilio britannico. A Tel Aviv, unica capitale democratica del Medio Oriente, non piacciono troppo le voci libere. Pappè e una manciata d’altri vengono iscritti al gruppo della “Nuova Storia”, quella che guarda con occhi diversi al conflitto: sotto il nostro naso, infatti, l’uomo bianco vittima della Shoah ha portato avanti una guerra di lenta conquista coloniale giustificata dalla Bibbia. In Cisgiordania i palestinesi vivono l’apartheid. A Gaza, il genocidio. La comunità internazionale se ne infischia mentre intifada dopo intifada e guerra dopo guerra i palestinesi vengono erosi nelle sante tavole che contengono gli eventi del sempiterno bordello umano. In “Palestina e Israele, che fare?” (Fazi 2015), titolo di sapore leniniano e testo scritto a quattro mani con quell’altro capoccione di Noam Chomsky, il prof s’interroga ancora una volta sul come e il perché di passato e presente. Chomsky il linguista imputa tutto lo sfracello al capitalismo, Pappè lo storico alle parole. La narrazione falsata degli eventi, dice, nel corso dei decenni si è concretata in un ologramma che ha buggerato le moltitudini e castrato ogni istinto di verità e giustizia. Come potrebbe un pupo di Schindler’s list essersi trasformato in un rabbino fascista e conquistatore? Potete rigettare la tesi, dopo esservi documentati. Resiste una verità, che Pappè ha snocciolato durante la lectio con pacatissima potenza: “Scrivere della sofferenza di un popolo significa partecipare di quel dolore”, ha detto, definendosi poi un “attivista”. L’oggettività, questo scherzo monumentale, è una delle più esiziali armi del potere, di tutti i tempi e di tutte le forme. Esistono solo storie in guerra fra loro, le parole in guerra a contendersi la proiezione del film del mondo. Le note in calce a fottersi, come biacca sul volto dei pagliacci. Le storie giuste e gentili spesso soccombono. Un essere umano supera se stesso, ritrova se stesso, solo nella gloria della battaglia. Essere umano significa essere partigiano. Il colore non conta. È la trasparenza dei tanti, da sempre, a permettere a un ciuffo di coglioni d’uccidere la libertà e la gioia.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)
COGLI L’ATTIMO
Sabra e Chatila: il genocidio in un minuto