Insomma, appena seduti la cameriera viene a prendere l’ordine, una tarchiatella sbiondata, e un tipo in abito tradizionale curdo coi baffoni le si fa dietro e lascivamente le dà una strisciata di mano sul culo. Non la prende mica bene. Io, l’irlandese e il boss dell’hotelaccio che mi ospita da due giorni scarsi a Sulaymaniyah siamo al quinto piano di un albergo che in soffitta ha la carboneria dei bevitori, tavoli nell’ombra solitudine e luminarie rosse. Sempre la solita solfa, occultamento e ostentazione del peccato, in equilibrio precario. Andiamo a bere qualcosa per rilassarci, aveva detto il boss. E andiamo. Infatti mentre io pilucco la birra lui e l’irlandese stracannano che è una bellezza. L’irlandese ha 24 anni e una camicia infame abbottonata fino al collo, se ne infischia del freddo, parla poco e con curiosità autistica. Sgobba in un albergo a Dublino dopo la laurea in storia, e appena può scarpina per il Medioriente, studia il terreno, vuole fare il reporter glorioso. Toh. Il boss è un curdo ramingo che ha vissuto per quindici anni il mondo e ora fa la grana. Il numero dei paesi, le donne inchiodate e le lingue parlate aumentano con i bicchieri di Jack Daniel’s. Ci spiega come va la politica, sogna il Kurdistan unificato ma i bastardi internazionali non lo permetteranno mai. Saddam, che i curdi li ha sterminati, era meglio di sto bordello. Uh. Mai fidarsi della gente qui, che lo ascolti, lui ormai è praticamente un occidentale. Poi passa un figone, un’altra cameriera, tutta curve, bruna due volte una siciliana, un’irachena fuggita dal sud in guerra. E il boss tutto cospirativo mi mostra il regalo che le ha portato, un astuccio di cuoio in guisa di bocciolo. Agghiacciante. Ma lei lo accetta, e torna e ritorna, e io col mio arabo scarso capisco che il boss riesce a scucirle un’uscita per l’indomani. Solo che all’ennesimo approccio lui per fare il ganzo le dà un pizzicotto sul braccio burroso, e lei s’incazza come una biscia. Poi torna per il conto, ma il boss la caccia in malo modo, e in inglese. Vado a pisciare e la vedo in un angolo col manager che sbraita. Rock’n’roll, penso. Infatti al tavolo te li ritrovo che si aggrovigliano in una discussione, lei lo smerda restituendogli la paccottiglia, lui definitivo come Bogart lancia il bocciolo che vortica per la sala e ricade, teatrale. La bruna sparisce, il manager tutto mesto si siede e discute col boss, da veri amiconi. La versione è che lei ha dato di matto perché lui le ha negato la mancia. Stronzate. Ma il boss è un avventore prolifico, e l’affare si risolve con un giro gratis di bevute e il licenziamento della bruna. Quando il boss va ciondolante al cesso l’irlandese mi guarda strozzato nella camicia e mi chiede se non sia il caso di intercedere per la pupa. Guardo i suoi grandi e gentili occhi irlandesi, e lo vorrei abbracciare. Gli dico che ha appena assistito a una grande lezione sull’identità mediorientale, ciò che avviene nell’ombra, l’unica cosa rilevante. E che possiamo intercedere, ma domani, quando il sangue della cavalleria rusticana s’è asciugato. Poi tutti e tre siamo usciti nella pioggia e nella strada trafitta dai neon.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)
COGLI L’ATTIMO
da Provaci ancora, Sam (1972) diretto da Herbert Ross, sceneggiato e interpretato da Woody Allen