In campo nutrizionale la quantità di un alimento che costituisce una porzione è perfettamente definita. E nei ristoranti? Niente di più vago. Le dosi ritenute adeguate a soddisfare l’appetito dei clienti variano da oste a oste, da trattoria a trattoria (gli chef sono notoriamente molto parchi, prevalgono estetica e filosofia zen e la giusta quantità di cibo è proporzionalmente inversa alla dimensione del piatto). Ha ancora senso parlare di porzioni? No, se non ci fosse sempre, tra i commensali, qualche anima candida che per mostrarsi sensibile alle sorti del pianeta, a quelle della sua pinguedine (luogo e momento sbagliati), per provare a pagare la metà, o più semplicemente per rompere le palle (trovare qualcuno che condivida, malvolentieri, il piatto con lei), invoca una “mezza porzione”. La mezza porzione non esiste più da decenni, è roba da secondo dopoguerra. Peraltro il cameriere, se provate a chiedergliela, ha sempre qualche minuto di smarrimento. La metà di che cosa? Si capisce che il suo cervello sta elaborando calcoli troppo complessi, non previsti dalla sua formazione scolastica. In compenso, a fine pasto, non avrà nessuna difficoltà a portarvi due doppi mezzi whisky (cit. Groucho Marx).
Marco Schintu
Ufficio pesi e misure di Aristan
La “mezza porzione” non esiste più da decenni, è roba da secondo dopoguerra (da LA SCOMPARSA DELLE MEZZE PORZIONI – Editoriale di Marco Schintu)