LAVORATORI VIVI, LAVORATORI MORTI


Editoriale del 28 aprile 2019

Manca poco al primo maggio, la festa dei lavoratori, quelli vivi. Si celebrerà a pochi giorni dalla giornata mondiale della sicurezza sul lavoro, dedicata alla prevenzione e al ricordo dei lavoratori, quelli morti. Nel limbo tutte le vittime di incidenti gravi, che non fanno somma nel conteggio e chi ha peso la vita mentre a lavorare ci andava, mentre tornava a casa dopo turni folli, o dopo lunghe malattie (radiazioni, amianto, polveri). Durante il secolo breve ci siamo abituati a numeri dai trend stabili: in occidente scendeva il tasso di natalità e aumentavano i salari; su l’aspettativa di vita e giù l’incidenza di malattie infettive un tempo letali; più ricca la dieta quotidiana e meno costosi gli elettrodomestici. Va da sé immaginare che a cercare le statistiche sulle morti bianche non si possa che trovarle confortanti. E invece no. Con la fine del 2018 si chiude un bilancio impensabile: in Italia l’incremento degli incidenti mortali sul lavoro è pari al 10%. Non è la prima volta nella storia recente che l’indicatore non scende (nel bienno 2014-5 +3,8%, per esempio) ma mai così. Negli ultimi dieci anni, oltre all’istituzione di un osservatorio nazionale (ne esistevano già di informali nelle aree industriali più colpite), si arricchisce la normativa in materia. Ma l’Italia rimane al ventesimo posto (seguita, a venticinquesimo dagli Stati Uniti) nella graduatoria a cura dell’Organizzazione internazionale del lavoro di Ginevra che monitora le condizioni dei lavoratori nel mondo. Tra il quinto e il settimo posto ci sono rispettivamente Olanda, Belgio e Francia, al tredicesimo la Spagna. Agli ultimi (su novanta paesi presi in esame) Nepal e Sierra Leone. Il primato per la sicurezza spetta alla Svezia, seguita da Finlandia e Norvegia, paesi nei quali la legislazione è decisamente più leggera ma esiste una figura di riferimento, quella dell’ombudsman, che fa da tramite tra datori di lavoro e dipendenti e registra le preoccupazioni di questi ultimi. Nel 2006 in Svezia ci sono state 67 morti bianche. In proporzione, considerato il numero dei lavoratori, in Italia non avrebbero dovuto superare le 390. Sono state invece 1.302. Tra le soluzioni la “patente virtuosa” che assegna alle aziende un punteggio tarato sul rispetto delle norme di sicurezza, sui controlli periodici e sulla trasparenza rispetto alle denunce. Ma si può partire dalle cose semplici, come in Svezia. Chi ha avuto a che fare anche marginalmente con una società, chiunque abbia manifesti conflitti di interesse, non può diventarne responsabile per la sicurezza, se non ad almeno tre anni dal pensionamento. Chi riceve una segnalazione relativa a condizioni di lavoro precarie e la ignora ne risponde. Iniziamo da qui, e poi magari apriamo il vaso di Pandora del lavoro nero e delle morti che non fanno statistica.

Eva Garau (Precaria di Aristan)

in Italia l’incremento degli incidenti mortali sul lavoro è pari al 10% (da LAVORATORI VIVI, LAVORATORI MORTI – Editoriale di Eva Garau)

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