LE IDI DI MARZO


Editoriale del 27 febbraio 2018

Per prepararci al voto di domenica prossima, il Liceo Quijote raccomanda a docenti e studenti il “Manualetto di campagna elettorale”(edito da Salerno), un vademecum delle elezioni del 63 a.C., quando i romani scelsero fra Cicerone, Catilina e Ibrida (cioè i Berlusconi, Di Maio e Renzi di allora). Attribuito, con qualche incertezza, a Quinto Tullio Cicerone, fratello del più celebre candidato Marco. Lo stagionatissimo “commentariolum” dimostra che non c’è niente di nuovo sotto il sole, visto che questo manuale, generoso di consigli e trucchi per vincere il consolato, tratta di concussione e corruzione, di tecniche per denigrare l’avversario, di strategie per risalire la china di un prevedibile svantaggio di partenza (Cicerone era “homo novus”, perciò inviso alla nobiltà), di promesse di benefici (magari impossibili da mantenere, una volta conquistato il potere) per accattivarsi il “consensus omnium bonorum”, cioè il sostegno di tutte le parti interessate, fino a ipotizzare la possibilità di minacciare l’avversario muovendogli contro, pensate un po’, una procedura giudiziaria. Eppure ci sembra più proficuo e divertente mettere l’accento non tanto su quello che ci accomuna a quella società così remota nel tempo (è ovvio che il segreto di una vittoria elettorale preveda una campagna che cerchi di non scontentare nessuno), ma quello che ci separa, che non è poca cosa. La curiosa operetta ci invita a un’autentica immersione nella latinità classica, in questi giorni tornata alla ribalta anche con l’incremento delle iscrizioni al Liceo Classico e con i fortunati best-seller che elogiano le meraviglie delle lingue latina e greca. Allora l’importanza dell’abilità oratoria prende il posto dei nostri deludenti talk show televisivi. Allora scopriamo quanto il concetto latino dell’”amicitia” fosse diverso dal nostro e quanto contasse il ruolo dei “clientes” nella politica romana. Oppure si può valutare il delicato equilibrio che fa corrispondere la “gratia” dell’elettore al “beneficium” ricevuto. Si veda poi la distinzione fra “salutatores”, “deductores” e “assectatores” nel determinare la popolarità di un candidato. E soprattutto c’è da gustarsi una chicca come la “Pro Murena”, orazione ciceroniana in difesa di un accusato di corruzione elettorale, pubblicata in appendice, con testo latino a fronte. L’opera più divertente di Cicerone, nella quale l’oratore prende le distanze dall’arcaico moralismo di Catone il censore per aprire il severo “mos maiorum” verso una visione più moderna e sorridente della società. Una boccata d’aria antica tra i fumogeni contemporanei dei fascisti di Casa Pound e dei fascistissimi antifascisti.

Fabio Canessa
Preside del Liceo Olistico Quijote

L’opera più divertente di Cicerone, nella quale l’oratore prende le distanze dall’arcaico moralismo di Catone il censore per aprire il severo “mos maiorum” verso una visione più moderna e sorridente della società. (da LE IDI DI MARZO, editoriale di Fabio Canessa)

da Qualunquemente (2011) diretto da Giulio Manfredonia e interpretato da Antonio Albanese, nei panni di Cetto La Qualunque.

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