LE PRINCIPESSE SUI PISELLI


Editoriale del 21 luglio 2014

Un bel giorno, mentre gioca alle bambole, Emily chiede a papà Jeremiah Heaton: “Credi che diventerò mai una principessa papà?”. Una vecchia ossessione per la settenne della Virginia. Naturalmente, Stati Uniti d’America. Nessun problema. Babbo s’informa e sorvolando gli oceani e a dorso di caravan raggiunge Bin Tawil, conteso angolo del deserto sudanese. Solo qualche beduino che porta a spasso il gregge, ogni tanto. Pianta una bandiera disegnata dallo scricciolo medesimo e il gioco è fatto: Emily è principessa del Regno del Nord Sudan. Una promessa è una promessa, perbacco. “Ora devono soltanto essere riconosciuti dagli altri governi africani”, sostiene Shelia Carapico, docente di scienze politiche presso l’Università di Richmond. “È avvenuta la stessa cosa per millenni, solo che io l’ho fatto per amore”, ha spiegato Jeremiah il veterotestamentario profeta di Mac Donald, che promette per la regione “Agricoltura, tecnologia e acqua”. Un po’ ciò che promettevano i primi coloni ebrei in Palestina a fine ‘800. Ma non è questo il punto, oggi. Siamo talmente pervasi di narrative ed etiche disneyane che una storia del genere riempie il pomeriggio della BBC con l’innocenza e la fragranza di un biscotto della nonna, senza sollevare il minimo dubbio sui meccanismi quantomeno ambigui che cominciati in TV, innestatisi nel corpo di un’innocente bimbetta, implementati dalla panza del munifico e melenso papino si sono concretizzati in nel realissimo castello della piccola colonialista. La fantasmagoria si dissolverà a breve, con l’adolescenza. Resterà un informe, ma coattivo, sentimento di unicità, pronto a declinarsi nel quotidiano attraverso parole, gesti, balli di fine anno, polli da spennare sull’altare e financo un voto e un’opinione politica irrorati da sentimenti di egoismo, arroganza e potenza. Fate di Emily ciò che vi pare: ricercatrice (vedi Shelia Carapico), ministro, maestrina, giornalista o volontaria in Africa presso una ONG. Nei fumi del suo sentire profondo sarà sempre quella stronzetta mocciosa circondata da sudditi. E invece sarebbe bastato un “Sei già una principessa, tesoro”. O, alla prima frignata, un sonoro calcio nel culo. La violenza a volte è necessaria per prevenire la guerra e stimolare nell’infante un sentimento panteistico per l’umanità. Come dire, per amore.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

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