L'ELEFANTINO D'AVORIO


Editoriale del 2 settembre 2012

Lo scorso Giugno era in scadenza un plico risalente al 1512. Osservando i sigilli e le date riportate da diversi archivisti, mi sono accorto che il plico era stato periodicamente aperto e richiuso con una cadenza di cento anni.Ero di cattivo umore perché avevo appena scoperto un’invasione di formiche nella dispensa dell’Archivio, quindi ruppi i sigilli di malavoglia, più per senso del dovere che per interesse. Il plico conteneva un lungo racconto a puntate; ognuna firmata da un diverso archivista che rimandava il seguito al suo successore di cento anni dopo. La storia riguardava le vicende di un bellissimo elefantino d’avorio, un oggetto così affascinante da generare in chi lo guardasse un irrefrenabile desiderio di possesso. Nei secoli, l’elefantino era stato rubato numerosissime volte, e passando di mano in mano aveva toccato tutti gli angoli della Terra.
Ecco il mio svogliato svolgimento:
L’elefantino d’avorio era scivolato dalle mani della fantesca ubriaca. Cadendo sul pavimento si era spezzato le orecchie, zanne e la proboscide. Ormai simile a un tapiro aveva perso tutto il suo fascino, e da allora nessuno l’aveva più voluto. Fine della storia.

Carlo M.G. Pettinau
(Archivista dell’Oblio)

COGLI L’ATTIMO

 

da La settimana Incom del 13/12/1951, sul set del film “Buon Giorno, elefante!” con Vittorio De Sica

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