115 anni fa nasceva Leo Longanesi. Come per il Carneade di don Abbondio, il nome lo conoscono tutti, ma quanti, tra i viventi, hanno letto un suo libro? L’occasione di colmare la lacuna ce la offre ora il coronavirus. Cominciate con “Parliamo dell’elefante”, il diario in cui Longanesi racconta a modo suo il periodo che va dal 1938 al 1946: quello in cui gli intellettuali, fino ad allora pienamente integrati nel regime fascista, per non correre rischi, preferirono occuparsi d’altro e “parlare dell’elefante”, per poi diventare, con uguale ottusità, alfieri dell’antifascismo. Bastian contrario di talento, nemico di ogni conformismo e ipocrisia, Longanesi ridicolizza nella prima parte la tronfia retorica dei gerarchi e il servile ossequio di un’opinione pubblica che gratifica perfino il sole dell’aggettivo “fascista” (con un graffio cattivo a Ezra Pound e alle sue “idee confuse”), nella seconda smonta con lucido disprezzo la vuota magniloquenza del nuovo potere (con una dura critica all’uggioso magistero morale di Benedetto Croce). Autodefinendosi un “carciofino sott’odio”, dichiara di essere mosso non dalle “idee” ma dalle “antipatie” e si augura il ritorno del fascismo perché “soltanto sotto una dittatura riesco a credere alla democrazia”. Scandito da brillanti e fulminanti aforismi (“veterani si nasce”, “vissero infelici perché costava meno”, “non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza”, “credono di essere di sinistra perché mangiano il pesce col coltello”, “non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee”, “il professore di lingue morte si suicidò per parlare le lingue che sapeva”), il romanzo-saggio narra il peregrinare da Roma a Napoli a Milano con accenti di disincantato scetticismo, e non risparmia nessuno: gli italiani (“animali feroci e casalinghi”) e gli americani (“la carne in scatola la mangio, ma le ideologie che l’accompagnano le lascio nel piatto”), Giuseppe Mazzini (“scrive male e non riesce a portare in fondo nessun concetto”) e Ignazio Silone (“i suoi personaggi sanno di vivere in un romanzo che sarà tradotto all’estero”). “Conservatore in un paese in cui non c’è nulla da conservare”, Longanesi non vuole stare dalla parte di nessuno e si diverte a sfogare la propria idiosincrasia nei confronti del mondo che lo circonda. Soprattutto se si tratta degli italiani. Ai quali, conoscendone la viltà, Longanesi dà un consiglio che ne esalti l’inclinazione naturale e garantisca loro il successo: “Siate enfatici e transigenti”.
Fabio Canessa
Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan
115 anni fa nasceva Leo Longanesi. Come per il Carneade di don Abbondio, il nome lo conoscono tutti, ma quanti, tra i viventi, hanno letto un suo libro? (Da LONGANESI, CHI ERA COSTUI? – Editoriale di Fabio Canessa)