Il 7 agosto 1974 Philippe Petit danzò per 45 minuti su un cavo teso fra le sommità delle Torri Gemelle, 415 metri sopra il mormorio di New York. Educato a tutte le arti che impongono il corpo, funambolo autodidatta, fu in gioventù cacciato da 5 istituti per aver borseggiato compagni e insegnanti. Spesso, a Parigi, i suoi spettacoli improvvisati si concludevano con una precipitosa fuga in monociclo. Venne arrestato più di 500 volte. Petit ha attraversato il vuoto fra i campanili di Notre Dame a Parigi e quello dei piloni dell’Harbour bridge a Sydney, camminato sopra la gola schiumosa delle cascate del Niagara. Nel pomeriggio del 6 agosto una ciurma di amici agglutinatasi intorno alla follia s’introdusse illegalmente negli ambienti del World Trade Center e in una nottata da ladri costruirono il ponte sul nulla. Una fotografia ha preservato l’attimo in cui, dopo i primi passi, il corpo di Petit trovò il sorriso, divinizzandosi. In una delle 8 tornate, quasi giunto alla sponda, sentì gli sbirri americani recitare con grammatica umana l’invito a deporre l’equilibrio. Come chiedere al cielo di farsi punto. Philippe voltò le spalle e continuò a nuotare nell’estasi. Genuflesso, salutò il pubblico con eleganza di ballerina. Sdraiato, spalancò le braccia e diventò un cristo benedetto dalla gioia, che non conosce sangue né sacrificio. Si può essere ingannati nel pensare che i bordi di quella finitudine tesa costituissero la frontiera fra universi antinomici: vita e morte, mediocrità e genio, passione e nebbia, amore e solitudine. Nel lungo cavo d’acciaio al contrario tutte le incongruenze e le dicotomie della realtà venivano ricomposte, richiamate da un dio birbante nella regolarità piena e serena del respiro. Sceso dal cavo tornò umano. I poliziotti quasi gli ruppero il capo trascinandolo giù per le scale. Il procuratore distrettuale, tuttavia, lo scagionò con un pretesto. Una sirena lo adulò all’uscita dal commissariato. Si chiusero per ore in un albergo, nel trionfo della carne. Fuori lo aspettavano la fidanzata e i compari del “colpo”, traditi. Ancora oggi scoppiano in pianto al ricordo dell’infinita bellezza dell’attimo. In una mattina irripetibile avevano assistito alla gloria dell’azzardo e della ribellione, alla libertà che diventa religione e cammina sul rasoio, sopravvivendo. L’11 settembre 2001 un altro credo avrebbe investito le torri con le sue ali scure. Gli americani avrebbero reagito con orrore perfino maggiore. Ma la via sottile disegnata da Petit non era riconducibile a maceria. È ancora là, in alto. È sufficiente abbandonare la gravità degli occhi.
Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan war’s correspondent)
COGLI L’ATTIMO
Philippe Petit è un funambolo, mimo e giocoliere francese