MEMORIE DI UNA GIUMENTA DI GUERRA


Editoriale del 29 gennaio 2018

Ho scattato questa foto fra le stanze spoglie dell’ospedale pediatrico di Herat, nel gennaio 2013. Ciò che non si vede siamo noi, pivelli in cerca di gloria corazzati come giumente da guerra e guardati a vista dai soldati italiani, la gloria per un pizzico di propaganda: in Afghanistan abbiamo portato pace e democrazia. Costruito nel 2005 con fondi romani, alla struttura mancavano in quei giorni medicine e corrente elettrica. Ricordo la prece del direttore sanitario, antibiotici, siringhe per favore, una cantilena sfinita che venne interrotta per la visita ai malati. Un pizzico di propaganda, ordine e democrazia. Così entrammo vestiti da ridicoli sturmtruppen, feci due scatti poi uscii nell’andito per poggiarmi al muro. Ero scosso, mi vergognavo, ero nudo. L’infante invece era appesa a un filo, una polmonite, la notte precedente un tuffo verticale delle temperature ne aveva seccati quindici in un villaggio vicino. Solo un pizzico, antibiotici, raccontare storie per cambiare le storie. Trovai quello sguardo di denuncia solo tornato alla base, una foto involontaria che mi ha insegnato quanto molti volumi di teoria politica. È vero, la declinazione violenta e retorica dell’arroganza, è tutto vero, il fatto come epifania del tutto che sfugge, fumo da intrecciare in analisi, dire, dire e dire finché la parola non si raggruma in indignazione e gesto. Mi torna in mente ora, dopo l’ennesimo massacro a Kabul. Dove si trova Kabul? Cosa accade? Chi si è vestito d’esplosivo per lacerare le carni, bruciare le strade, chi si è annichilito per annichilire immaginando un tempo nuovo? Perché? Quale passato maledetto precede in grammatiche di generazioni ogni scoppio? Inglesi, russi, americani, gli imperi passano da qui, conquistano occupano usano e ripartono lasciando nuove forme di caos. L’elettricità per favore chiedeva, un medico umiliato davanti ai pivelli corazzati come ruminanti giumente da guerra. La democrazia dicono, io chiesi, i fatti per favore: in dieci anni di missione 60 milioni di euro per pozzi, scuole, ospedali. La costruzione armata della repubblica ne costava due al giorno. Lo chiesi al sottosegretario alla difesa in visita per Natale, sceso dall’elicottero con il suo ventre enorme, un tricheco ansimante e infoiato per i nuovi aggeggi d’offesa, macchine infallibili che resistono alle bombe piantate per strada dagli indiani, finmeccaniche celesti e tutta la ragna di denari e nomi che sono burocrazia e stato e potere. Io chiesi appunto, come può chiamarsi missione di pace? Il tenente colonnello lo prese per la giacca, portò il sottosegretario gravido in un angolo, lo istruì sulla risposta. La democrazia e solo un pizzico di propaganda per la gloria, passano gli imperi come il vento dopo il vento e resta solo la polvere e uno sguardo.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

… propaganda per la gloria, passano gli imperi come il vento dopo il vento e resta solo la polvere e uno sguardo (da MEMORIE DI UNA GIUMENTA DI GUERRA, editoriale di Luca Foschi)

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