Agosto. Sotto un ombrellone scosso dal vento in una spiaggia affollata, quasi mi strozzo mangiando un panino imbottito con una scadente salsiccia: solo alcuni colpi ben assestati sulla schiena mi salvano. Non volevo morire. Non che avessi paura di lasciare questo mondo, sia chiaro; solamente non volevo andarmene così, facendo rumore: “Ennesima tragedia del mare. Soffocato da una salsiccia piccante, muore davanti a centinaia di bagnanti”. Il catalogo delle morti in riva al mare è infinito, e talvolta si tratta di disastri ridicoli: ”Muore osservando i pescetti con la maschera, pinneggiando a un metro dalla riva”; “C’è un uomo morto tra le onde ed è nudo, allarme tra i bagnanti”. La morte è un fatto privato, in spiaggia invece muori in pubblico, davanti a troppi testimoni. E comunque vada, produci sempre un inutile rumore. Deve essere per questo che evito gli ombrelloni a vite, quelli col bastone ingobbito. Meglio prevenire. Non discuto sul fatto che siano più facili da installare, ma sono ridicoli. “Morto mentre trapanava la spiaggia. Vani i tentativi di rianimarlo”. Gli ombrelloni dovrebbero essere lasciati liberi di andarsene se il vento decide di alzarsi all’improvviso. E la loro ombra di spostarsi come meglio crede.
Tony Cinquetti
(Etica gastronomica)
COGLI L’ATTIMO
da L’ombrellone un film del 1965 diretto da Dino Risi.