MORTE A VENEZIA


Editoriale del 4 settembre 2018

Il Presidente della Repubblica, in segno di lutto per le vittime della tragedia di Genova, ha declinato l’invito a partecipare all’inaugurazione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. A quanto ne so, la decisione di Mattarella non ha provocato nessun commento, pur in un’epoca nella quale qualsiasi inezia suscita una rissa da tastiera di infervorati pro e contro. Meglio così, però rimango molto perplesso: che cosa ci combina il lutto con la Mostra del Cinema? La rinuncia del Presidente mi pare dettata dal vecchissimo pregiudizio che il cinema sia l’erede dell’avanspettacolo, frutto della concezione del film come puro intrattenimento, un divertimento spensierato del sabato sera e della domenica pomeriggio. Dopo il crollo del ponte e i 43 morti, farsi vedere alla serata inaugurale del Lido, secondo Mattarella, sarebbe stato un po’ come presenziare a Miss Italia o al Carnevale di Viareggio. Che la Mostra di Venezia si chiami d'”Arte” non gli è importato nulla. Invece l’arte è molto diversa da un concorso di bellezza e ha poco a che fare con le feste in maschera e molto a che fare, guarda un po’, proprio con la morte. Del nostro rapporto con la morte trattano i classici del cinema: “Il settimo sigillo” di Bergman è una partita a scacchi tra un cavaliere e la morte, “Quarto potere” di Welles è incentrato sul significato di una parola pronunciata in punto di morte, tutta l’opera di Fellini è scandita dalla presenza della morte (la nebbia di “Amarcord”, i genitori che escono dalla tomba in “Otto e mezzo”, per non parlare del “Satyricon”). Se il Presidente fosse andato a Venezia, avrebbe visto i due film, davvero poco ridanciani, che hanno inaugurato la rassegna: l’italiano “Sulla mia pelle” che racconta la morte di Stefano Cucchi, pestato dalle guardie carcerarie, e lo statunitense “Il primo uomo”, la biografia di quel Neil Armstrong che per primo mise piede sulla Luna, film che rivela quanto la vocazione di astronauta gli sia nata per reagire alla morte della figlia di due anni. Quindi rispettivamente la denuncia delle responsabilità di una tragedia italiana perché non si ripeta e la storia di un riscatto epico originato dalla reazione a un lutto. Che cosa ci poteva essere di più adeguato per celebrare i morti di Genova, per meditare sulle colpe umane e il ruolo del fato nelle catastrofi italiane ed esistenziali, per trasfigurare il sacrificio delle vittime con il balsamo dell’arte? Macché, per paura di dare l’impressione di spassarsela in Laguna, il Presidente in segno di lutto è rimasto a Roma: nel caso migliore sottovaluta il cinema non considerandolo arte, nel caso peggiore non ha capito cos’è l’arte e a che cosa serve.

Editoriale di Fabio Canessa (preside del liceo Quijote di Aristan)

tutta l’opera di Fellini è scandita dalla presenza della morte (la nebbia di “Amarcord) – da MORTE A VENEZIA – Editoriale di Fabio Canessa

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