n.10 NELLA SALA DEI TORI


Editoriale del 14 agosto 2016

10-Occhio-furibondo-in-campo-vermiglio

È una bella notte stellata, mentre Borges lava i piatti – dice che gli piace – ci trasferiamo nel piccolissimo giardino dove sventola su un pennone la mia bandiera individuale (occhio furibondo su campo vermiglio). L’idea di essere un alieno piace a Corto Maltese: “Se Jorge ha ragione noi dobbiamo essere giunti sulla Terra su un disco volante o qualcosa di simile”.
“Niente dischi volanti. Ci siamo materializzati per magia”.
“Spiegati meglio Filippo”.
“L’attimo magico della creazione è quando il primo ominide è riuscito a immaginare se stesso. È accaduto tutto in quel preciso momento. Per immaginare se stesso infatti ha dovuto immaginare anche gli altri. E comprenderli. Comprendere tutto e tutti. È dovuto diventare un essere umano. Avete mai visto la Sala dei Tori? È una delle grotte di Lescaux, un capolavoro di 20.000 anni fa”.
Corto si illumina: “Ho visitato quelle caverne nel 1830, dieci anni prima che quattro ragazzi le scoprissero per caso. Quella non è pittura: sono animali vivi, che si muovono”.
“È così. Il Maestro di Lescaux non ha fatto delle copie dal vero: è diventato lui stesso quei tori, quei cavalli… Proprio come Michelangelo che, per dipingerlo, si era trasformato nel Giudizio Universale. Quella pittura è il primo certificato inconfutabile della presenza dell’Uomo sulla Terra”.
Corto guarda il cielo: “Ho capito: niente dischi volanti. Che facciamo? Torniamo a Dio?”.

Filippo Martinez
(tragediografo di Aristan)


“Ho visitato quelle caverne nel 1830, dieci anni prima che quattro ragazzi le scoprissero per caso. Quella non è pittura: sono animali vivi, che si muovono”.
(da NELLA SALA DEI TORI di Filippo Martinez)

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