Nelle ultime 48 ore due episodi di cronaca hanno contribuito a raccontare un’Italia stavolta e deformata dall’odio. La morte del carabiniere Mario Cerciello Rega, a Roma, nella notte di giovedì scorso e l’ipotesi circolata già dalle prime ore che ad accoltellarlo fossero stati due nordafricani hanno scatenato il giustizialismo sempre più violento che sembra aver attecchito nel nostro paese, dimentico della Costituzione e sempre più assetato di pena di morte. Un crimine che dovrebbe lasciare di sasso qualunque cittadino e invece no. Da una parte chi, neanche velatamente, delegittima le forze dell’ordine per gli abusi dei quali alcuni rappresentanti delle stesse si sono resi protagonisti negli anni, dall’altra i forcaioli (politici inclusi) pronti a cavalcare la presunta identità degli aggressori e usarla strumentalmente per gridare alla necessità di una stretta sulla sicurezza e contro ogni politica dell’accoglienza. In questo corto circuito da crisi di nervi l’assassino di Roma è sbarcato sulle coste italiane a bordo della Sea Watch. E invece la rivelazione secondo la quale i responsabili dell’aggressione sono due americani (bianchi) fa esultare tutti coloro che possono finalmente puntare il dito contro chi si è sfogato sul web sbagliando il bersaglio. La morte in mare di 150 migranti, che un tempo sarebbe parsa di portata straordinaria a chiunque, passa intanto quasi sotto silenzio, se non fosse per l’odio seriale di mammine di famiglia che su Facebook postano contemporaneamente la foto profilo delle vacanze, abbracciate ai loro cuccioli, mentre commentano la notizia del naufragio con toni che sarebbero inaccettabili anche nell’angolo più remoto, violento e isolato del nostro pianeta. Buon appetito ai pesci. Se non fossero partiti non sarebbe successo. Se lo meritano. Cento in meno. Bambini inclusi. Purché non siano i bambini di Bibbiano. In questi giorni è stata lanciata la campagna Odiare ti costa. Una squadra di avvocati che si occupano di raccogliere segnalazioni sul web e si impegnano a far risarcire le vittime con l’obiettivo di rendere il linguaggio dell’odio sempre più difficile da praticare. Il valore di antica tradizione filosofica del giusto mezzo divulgato a suon di sanzioni per diffamazione e incitamento all’odio (di genere, razziale, religioso, legato all’orientamento sessuale). Negli Stati Uniti la questione dell’hate speech è emersa decenni fa, con restrizioni e punizioni volte a cambiare per stratificazione l’attitudine alla discriminazione. Mentre aspettiamo di capire se l’iniziativa avrà altro effetto che quello di far gridare alla violazione della libertà di parola potremmo intanto iniziare a moderare i toni, a esprimere opinioni e non cementare ideologie intransigenti. Ad abbassare la voce anche nella quotidianità. Meno stupri augurati e un auspicabile relativismo sulla pratica di portare o meno il reggiseno, per esempio.
Eva Garau (Precaria di Aristan)
https://youtu.be/axLr0v3S4bw
In questi giorni è stata lanciata la campagna Odiare ti costa. Una squadra di avvocati che si occupano di raccogliere segnalazioni sul web e si impegnano a far risarcire le vittime con l’obiettivo di rendere il linguaggio dell’odio sempre più difficile da praticare (da ODIARE TI COSTA – Editoriale di Eva Garau)