Il viaggio “presuppone un percorso importante, faticoso, ricco di avventure…si vanno a scoprire mondi diversi, si hanno mete da raggiungere”. Al contrario, la passeggiata non ha finalità né destinazione, “è limitata, si svolge negli immediati dintorni. Non è un mezzo per raggiungere un fine, ma è il suo stesso fine”. Eppure, se il viaggio è cugino della letteratura, la passeggiata ne è addirittura sorella. Costituisce il “modo più immediato di essere al mondo, di percorrerlo, esaminarlo, osservarlo, descriverlo e viverlo. Di conseguenza è anche forse una delle espressioni più immediate della scrittura”. Parola di Alain Montandon, professore francese di Letterature comparate e autore di “La passeggiata” (edito da Salerno), una piacevolissima e sorprendente fenomenologia della passeggiata nella letteratura di ogni tempo. Analizzata di volta in volta come “fenomeno sociale” e “procedere rituale”, contatto effimero con il prossimo e con la natura, esplorazione svagata e divagante fra coscienza interiore e realtà che ci circonda, osservazione puntigliosa e feconda dei piccoli ma importanti cambiamenti di un percorso familiare. Sistema di relazioni, sia che serva a immergersi nella folla sia che si configuri come un modo per rifugiarsi nella solitudine. Strumento conoscitivo per eccellenza, perché consiste nell’appropriarsi dello spazio in cui viviamo, situandoci fra limite e ignoto. “Poetica dello spazio, sbocciare dei sensi”, stimola il pensiero, “regola l’anima” e favorisce, oltre che la digestione, l’esercizio intellettuale. Parola di Nietzsche, che invitava a “non concedere alcuna fede a un pensiero che non sia nato all’aria aperta e accompagnato da movimenti liberi”. Dai dialoghi platonici aperti dalla domanda “Dove vai, Socrate, e da dove vieni?” ai peripatetici di Aristotele, due figure di riferimento sono Petrarca e Stendhal, per arrivare a Rousseau e, naturalmente, a Robert Walser, il più fine cantore della passeggiata. Affiancando in parallelo il cammino del corpo e il cammino della scrittura, Montandon dedica capitoli illuminanti alla conversazione e allo smarrimento, alla memoria e alla flanerie, con la scorta di Montaigne (“Ogni movimento ci rivela”) e di Balzac, di Diderot e di Palazzeschi. Il valore vitale e dimesso del passeggiare emerge bene da John Cooper Powys: “Qualsiasi cosa mi accada nella vita, il solo fatto di essere capace di guardare il muschio verde, i rami caduti, basta a giustificare il fatto di essere nato su questo pianeta”. Ma è la conclusione, lasciata a Virginia Woolf, che contiene il fascino struggente di una piccola esplorazione che presuppone soprattutto il gusto del ritorno al focolare: “Fuggire è il più grande dei piaceri, andare a zonzo d’inverno la più grande avventura. E tuttavia riavvicinandoci al nostro portone, ci conforta sentire che i familiari possessi e pregiudizi ci ravvolgono e proteggono rinchiudendosi intorno all’Io che il vento ha trascinato da un angolo all’altro della strada”.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
https://youtu.be/yrIrRPa7A_4
Dai dialoghi platonici aperti dalla domanda “Dove vai, Socrate, e da dove vieni?” ai peripatetici di Aristotele (da PASSEGGIATA D’AGOSTO – Editoriale di Fabio Canessa)