Nel dicembre 1917 Rosa Luxemburg scrive dal carcere di Breslavia all’amica Sophie Liebneckt, storica dell’arte, una splendida lettera su un bufalo percosso a sangue da un soldato. La sua “pelle lacerata”, la visione del “sangue che scorre giù dalla ferita aperta” suscitano le lacrime della Luxemburg, che osserva lo sguardo mansueto e doloroso del bufalo, con “l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta”. Karl Kraus pubblicò la lettera sul suo giornale “La Fiaccola”, come un “documento di umanità e poesia”. Una lettrice di Innsbruck gli rispose criticando il facile sentimentalismo di una barricadera pericolosa che “avrebbe certo predicato volentieri la rivoluzione ai bufali, se solo avesse potuto, e avrebbe fondato per loro una repubblica bufalina”, contrapponendo ai fervori politici della Luxemburg “una silente energia, una tranquilla bontà d’animo e uno spirito conciliante”. La risposta di Kraus fu furibonda: augurandosi che la lettera della Luxemburg finisse in tutti i libri di scuola, bollò la lettrice di ripugnante meschinità. Oggi, in occasione dei 150 anni della nascita di Rosa Luxemburg, possiamo leggere in traduzione italiana l’intero carteggio, curato da Marco Rispoli per Adelphi con il titolo “Un po’ di compassione”, aggiungendo in appendice un bellissimo racconto di Kafka, “Una vecchia pagina”, in cui alcuni soldati divorano un bue vivo, uno scritto di Elias Canetti nel quale, commentando Kafka, dichiara che “bisogna sdraiarsi per terra fra gli animali per essere salvati” e una cronaca giornalistica di Joseph Roth sul mattatoio di Vienna, dove “l’uomo –signore macellante della Creazione- rimane senso e scopo di ogni vita animale”. Chiude l’aureo libretto una postfazione nella quale Rispoli, citando fra l’altro il cavallo abbracciato da Friedrich Nietzsche per le vie di Torino e la capra di Umberto Saba, dimostra come, “se la condizione dell’uomo era la prigionia, la salvezza andava dunque cercata nel far proprio lo sguardo dell’animale”, finendo con il riconoscere nel suo dolore “il proprio stesso dolore, il dolore di ogni creatura, e a provare così il sollievo di un dialogo inatteso”.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote ad Aristan)
“Se la condizione dell’uomo era la prigionia, la salvezza andava dunque cercata nel far proprio lo sguardo dell’animale.”
Da UN PO’ DI COMPASSIONE – Editoriale di Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote ad Aristan)