Antidoto alla deriva patologica dell’isolamento, vale la pena di recuperare la nozione di Unanimismo. Una corrente poetica di inizio Novecento che tentò, almeno nella narrativa, di predicare l’abbraccio con quello che gli idealisti chiamarono il “non io”. Jules Romains (1885-1972) passeggiava per la parigina rue Amsterdam quando fu folgorato dall’intuizione che la felicità dell’uomo si poteva realizzare interiorizzando lo spazio esterno, trasformando quella via in una dimensione accogliente dentro di lui, e portare il corpo a sentirsi un tutt’uno con la città e la gente. Un’appropriazione del contesto che oggi ci è interdetto. Romains cercò di rappresentare questo sentimento in “Cromedeyre-le-Vieil”, un testo teatrale, curioso e imperfetto, tradotto in italiano da Liberilibri, dove si racconta l’utopia di un villaggio immaginario, appunto Cromedeyre-le-Vieil (nato dalla fusione di due paesi reali: Monedeyre e Touet-de-Beuil), nel quale una comunità separata dal resto del mondo vive in una dimensione ideale di gruppo compatto e solido, un organismo dialettico fondato sulle antiche tradizioni. Che consistono nel rapire le donne dai borghi vicini (sarà per la virilità del loro così naturale modus vivendi, ma lì nascono quasi esclusivamente maschi) e coltivare una religione autonoma, regolata da una Chiesa ugualmente locale (e per costruirla devono rubare il cemento in altri luoghi). Suggestiva e originale, la parabola può nascondere un messaggio di nazionalismo sovranista o un’utopia anarchica alla Rousseau. Fatto sta che, tutta chiacchiere e niente azione, la commedia ebbe scarso successo. Anche la lettura non è eccitante, ma incuriosisce assai, soprattutto in questi giorni, il vagheggiamento di conservare “la forza del costume antico” e di creare una città dove “tutto comunica e si compenetra nella profondità”, con i cittadini un po’ spartani protetti dal muro del paese, “l’abito del suo popolo, la corazza che esso offre alla neve e al vento”. Unici inconvenienti: gli abitanti puzzano di “zolla bruciata” (ma è un odore sano) e l’assenza delle campane, simbolo trasparente dell’assenza di comunicazioni esterne, necessario contraltare della pienezza di comunicazione interna.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
Jules Romains (1885-1972) passeggiava per la parigina rue Amsterdam quando fu folgorato dall’intuizione che la felicità dell’uomo si poteva realizzare interiorizzando lo spazio esterno, trasformando quella via in una dimensione accogliente dentro di lui, e portare il corpo a sentirsi un tutt’uno con la città e la gente. Un’appropriazione del contesto che oggi ci è interdetto. (da NON POTENDO USCIRE, INTERIORIZZIAMO LA REALTA’ ESTERNA – Editoriale di Fabio Canessa)