RANGAKU, OVVERO QUANDO IL GIAPPONE CI STUDIAVA COME INGEGNOSI BARBARI


Editoriale del 17 gennaio 2018

“Rangaku” vuol dire “studi occidentali” ed è l’esatto speculare del nostro “orientalismo”. Mentre la Francia uccideva il suo re, il Giappone, che mai commetterà quel parricidio, era totalmente isolato dal mondo: nessuno poteva entrare né uscire, pena la morte. Il paese viveva in pace da duecento anni, un record assoluto. Eppure la pace non lo ha reso debole né l’isolamento stupido. Anzi, fioriva un tipo di studi sulla pittura europea, la scienza europea, la tecnica europea, anzi di “Olanda” (gli unici europei ammessi, e in un solo porto, e purché rinnegassero Cristo, erano gli olandesi).
Fiorivano , nel totale isolamento, arti e commerci che noi consideriamo esclusiva europea: editoria, libelli, teatro e una specie di giornalismo. Molti dei cultori di queste arti si dedicavano anche al “rangaku”. Può essere spiazzante (ma per me è consolante) sapere che qualcun altro ci ha guardati come noi guardiamo lui, con occhio disincantato.
Il “rangaku” trascurava totalmente la spiritualità occidentale, considerata non all’altezza, e si concentrava solo su cannocchiali, bussole, ponti, stampa e cannoni. Insomma ci considerano la civiltà della materia.
Ci si sente sminuiti, a saperlo. Un po’ come capita a quei mariti\padri che vengono cercati solo quando servono soldi. Usati come bancomat. E’ il destino delle civiltà che si sono consacrate al bancomat.

Gianluigi Sassu
(Asiatista di Aristan)

Può essere spiazzante (ma per me è consolante) sapere che qualcun altro ci ha guardati come noi guardiamo lui (da RANGAKU, OVVERO QUANDO IL GIAPPONE CI STUDIAVA COME INGEGNOSI BARBARI, editoriale di Gianluigi Sassu)

da Fantozzi (1975) diretto da Luciano Salce. Con Paolo Villaggio e Anna Mazzamauro

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