Percorrendo il labirinto sotterraneo ho udito uno zampettio alle mie spalle. Mi sono fermato e voltato di scatto. Due coppie di piccoli occhi fosforescenti mi fissavano dal basso: erano ratti. Ho ripreso il cammino più velocemente; seguito da un rumore in crescita. Voltandomi ho scoperto una moltitudine di occhi che si avvicinava minacciosa. Terrorizzato, mi sono ritrovato a correre. Davanti: il raggio di luce della torcia elettrica danzava frenetico; dietro: il fragore dello squittire di centinaia di ratti. Aspettavo l’assalto da un momento all’altro; invece le bestie mi sorpassarono velocemente. Non inseguivano me, sembrava fuggissero da qualcosa di terribile. Un attimo dopo non vidi e non udii più niente. Forse caddi.
Pieno d’angoscia, al buio, ero ancora capace di ragionare.
Bastava infilare la mano nello zainetto e prendere la torcia di riserva; con la luce sarebbe stato tutto più facile. L’angoscia mutò in disperazione quando mi accorsi di non riuscire a farlo. Non comandavo la mano. E non sentivo i piedi, le gambe, le braccia. Perfino spingere la lingua contro il palato era impossibile. E poi nessun rumore, nessun odore, insomma nessuna sensazione. Il mio cervello era completamente scollegato dal corpo, e quindi dal mondo esterno.
Ero diventato un puro spirito?
Carlo M.G.Pettinau
(Archivista dell’Oblio)
COGLI L’ATTIMO
da Il ratto delle sabine (1910) diretto da Ugo Falena