RICONSIDERA L’ARAGOSTA


Editoriale del 13 luglio 2017

È da sempre che ci si interroga quanto soffra l’aragosta (come pure gli altri crostacei) quando viene immersa viva in una pentola d’acqua bollente e se non esistano modi meno cruenti per farle finire i suoi giorni. Un argomento scabroso, posto che l’aragosta va cucinata viva e quello è il metodo più pratico e diffuso per farlo. Con buona pace dei comitati per il trattamento etico degli animali, il mondo si è occupato del problema evitando semplicemente di pensarci, come a suo tempo documentato da David Foster Wallace (“Considera l’aragosta”, 2003). Ora però le cose sembrano essere cambiate. Da quando la scienza ha dimostrato (per stare in tema, la scoperta dell’acqua calda) che anche gli invertebrati provano dolore, gli animalisti sono passati all’attacco e non esistono mezze misure, basta una denuncia. Non si tratta solo della bollitura: un ristoratore italiano è stato recentemente condannato a pagare una multa salata perché teneva su un letto di ghiaccio astici vivi con le chele legate, situazione “incompatibile con la natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze”. Che le aragoste soffrano mia nonna lo sa da una vita: le butta nell’acqua bollente e chiude col coperchio per non vederle dibattersi, si allontana e torna dopo qualche minuto. È talmente sensibile all’argomento che nel frattempo le capita di tirare il collo a una gallina, ne alleva ancora qualcuna. Dovrà riconsiderare l’aragosta. E la gallina?

Marco Schintu
(Ufficio pesi e misure di Aristan)

Ora però non si scherza. Da quando la scienza ha dimostrato che anche gli invertebrati provano dolore, gli animalisti sono passati all’attacco… (da RICONSIDERA L’ARAGOSTA, editoriale di Marco Schintu)

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