SALMO 104. Di stucco


Editoriale del 23 settembre 2017

Sembra che le espressioni “restare di stucco”, “di sasso” o “di sale”, derivino dal racconto biblico di quando la moglie di Lot si voltò a guardare il fuoco di zolfo sulla città di Sodoma, e restò “impietrita” dalla visione.
In ogni caso, son rimasto di stucco leggendo l’ultimo editoriale di Fabio Canessa sul robot-prete buddista proposto in affitto per i funerali in Giappone. Restavo di stucco non tanto perché “programmazione” e “lutto” sono per natura poco compatibili (C.S. Lewis scrisse: «Sto cominciando a capire come mai il lutto e la suspense siano tanto simili»), ma perché proprio in quei giorni mi era capitato di dire che «prima o poi un prete robot a dire messa l’avrebbero inventato davvero». Lo dicevo in un contesto molto cattolico, dove i riti, ripetuti quotidianamente sempre uguali e a quanto pare più graditi se spersonalizzati, sono talvolta come le carezze per i bambini e non solo (includendo cioè gli adulti e i gatti): ricevute e ripetute (una carezza si ripete per definizione), sono tutti soddisfatti. La cosa curiosa, è che nella storia della lingua, il termine “stucco” è stato usato anche con il significato di “totalmente appagato” (in senso erotico).
In caso di attribuzione di brevetto, dunque, la SoftBank Robotics si troverebbe in difficile concorrenza con la FRCR (Formal Ritual Church Robotics), con chi nella chiesa considera, oggi come fino all’ultimo avantieri, che la “forma” di gesti e parole ripetute con precisione “meccanica” sia la condizione principale perché un rito sia “valido”. Nostalgia di quando il prete andava in latino a conto suo, e i fedeli restavano “di stucco” nei due sensi: impalati e soddisfatti. Sensi appagati, senza suspense. E il resto dell’anima?

Eppure tu l’avevi detto, Signore:
«Pregando, non sprecate parole come i pagani:
essi credono di venire ascoltati a forza di parole…».

«Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore mi insegni la sapienza» (Sal 51,8).

Antonio Pinna
Salmista ad Aristan

come le carezze per i bambini (da Salmo 104. Di stucco, editoriale di Antonio Pinna)

Papa Giovanni XXIII nel discorso della luna, pronunciato “a braccio” l’11 ottobre 1962, alla folla riunita in piazza San Pietro per la fiaccolata serale di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II

  • MANIFESTO DI ARISTAN


    ANTEPRIMA
  • PROMO ARISTAN ROBERTO PEDICINI


  • INNO


  • IL TEMPO DEI TOPI DI FOGNA


  • CIAO NADIA