Ora a disposizione degli inquirenti italiani le testimonianze di una delle tante stragi (mirate) di civili yemeniti. «Le 3 di notte dell’8 ottobre 2016. Nel villaggio di Deir Al-Hajari, nel governatorato di Al Hudaydah, incombe un silenzio totale. […] Mi sono svegliata alle 3 con i suoni dei bombardamenti – racconta una donna di 25 anni – e siamo corsi fuori di casa. Abbiamo sentito il secondo colpo della bomba. Il fuoco era così vicino che ci stava bruciando. Dopo quasi due minuti il terzo ordigno ha raggiunto casa di mio fratello. Il quarto casa nostra. Non posso credere che mio cugino e la sua famiglia siano morti. I loro resti erano sparsi in giro. Avremmo potuto essere noi».
Sul luogo dell’attacco, resti di bombe MK80, e il codice visibile le rivela costruite da Rwm Italia. Provenienza: fabbrica nel Sulcis, Sardegna. (Avvenire, 18 aprile)
Cosa vuol dire per un operaio, altrimenti disoccupato, lavorare in una fabbrica di bombe? Gli accordi internazionali, se pur rispettati (e di fatto non lo sono), possono cancellare pensieri e retropensieri? Del resto, il colore del sangue di un soldato in guerra non è diverso da quello di un contadino e della sua famiglia in pace.
E sto pensando, Signore, a quanto è comodo
per i tuoi discepoli di oggi e i loro predicatori
trasformare in romantico discorso eucaristico
le tue parole dure a Cafarnao:
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
rimane in me e io in lui».
Riconoscere quanto siamo cannibali
in tempo di pace
non sarebbe il primo passo per smettere di divorarci
in tempo di guerra?
Antonio Pinna
Salmista ad Aristan
Non posso credere che mio cugino e la sua famiglia siano morti. I loro resti erano sparsi in giro. Avremmo potuto essere noi».
Sul luogo dell’attacco, resti di bombe MK80, e il codice visibile le rivela costruite da Rwm Italia. Provenienza: fabbrica nel Sulcis, Sardegna. (Avvenire, 18 aprile) – da Salmo 134 MORS TUA… editoriale di Antonio Pinna