Dire addio al sole: a Utqiagvik non vuol dire morire, ma entrare in una notte di 65 giorni. Alla latitudine della città più a nord dell’Alasca, il sole non supera la linea dell’orizzonte da metà novembre a metà gennaio circa. Piante spuntate in mezzo al Mediterraneo, non sappiamo nemmeno immaginare due mesi senza sole, con tutto ciò che ne deriva. Né ci potremmo accontentare di una luce crepuscolare di rifrazione. Solo come turisti, ci basta, a rovescio, una foto del sole a mezzanotte.
Eppure, resti archeologici ci parlano di insediamenti fin dal 500 d.C., e, vedendo quel corteo di seimila che oggi avanzano verso una terra non promessa, anzi difesa da una “forza letale” (ipocrisia delle parole pulite), mi chiedo quali speranze abbiano potuto portare gli umani a inseguire di costa in costa le balene, perdendo a ogni nuovo boccone un po’ di sole.
Le speranze hanno nella storia passi inarrestabili e parole diverse, ad altri, fatti altri, purtroppo incomprensibili. A me restano quelle del salmista “de profundis”, e lasciate che le dica in lingua ad altri estranea, eppur nativa, come da esquimese a poco sole:
Deu seu, Segnori, ispera ispera,
sempri isperendi est s’ànima mia:
unu fueddu suu seu aspettendi.
S’ànima mia a su Segnori miu,
prús che castiadori a primu soi,
castiendi a primu soi che castiadori.
Antonio Pinna
Salmista ad Aristan
Dire addio al sole: a Utqiagvik non vuol dire morire, ma entrare in una notte di 65 giorni. Alla latitudine della città più a nord dell’Alasca, il sole non supera la linea dell’orizzonte da metà novembre a metà gennaio circa (da Salmo 164 …AL PRIMO SOLE – Editoriale di Antonio Pinna)