SALMO 184 CESTINI E “DIFFERENZIATA”


Editoriale del 13 aprile 2019

«Non fare attenzione a tutte le dicerie che si fanno, così non sentirai che il tuo servo ha detto male di te; infatti il tuo cuore sa che anche tu tante volte hai detto male degli altri.»
Mi era capitato, pochi giorni fa, di rileggere, nel libro del Qohelet, questi versetti che vengono dopo due strani altri consigli all’apparenza contrari: «Non essere troppo giusto e non mostrarti saggio oltre misura: perché vuoi rovinarti? Non essere troppo malvagio e non essere stolto. Perché vuoi morire prima del tempo?». Strana sapienza di chi ha imparato a vivere abbandonando l’illusione di essere perfetto: «Non c’è infatti sulla terra una persona così giusta che faccia solo il bene e non sbagli mai» (7,20-22).
Questo antico insegnamento di Qohelet non è mai letto ai cristiani cattolici la domenica, ed era del resto anche tradotto in modo buonistico e sbagliato: un indolore e tranquillizzante «non essere troppo scrupoloso», invece del corretto e inquietante «non essere troppo giusto». Un insegnamento vitale che, a quanto pare, non fa parte né dei discorsi omiletici né dei programmi formativi dei maestri di perfezione. Con quali conseguenze? Non mancano certo le occasioni di rifletterci.

Se volessi togliere la parola a tutti quelli, ovviamente “vicini”, di cui sono venuto a sapere che hanno detto qualcosa poco piacevole di me alle mie spalle, dovrei, come Leopardi, parlare soltanto alla luna. Spinto da Qohelet, mi chiedo allora quali siano i meccanismi per cui ci si accorcia la vita, o comunque si guasta la propria, diventando prigioniero dei “detti” sul proprio conto, togliendo la parola all’uno e poi all’altra, mantenendo così rancore e rivalsa.
Forse difficoltà ad abbandonare una «immaginetta» di sé stessi, cresciuta nel tempo chissà come? Forse, immaturità ad accettare i “limiti”? O mancata coscienza che maturità è accettare il “finito”, il “non perfetto”? Incapacità, allora, a capire se stessi come si è? O, anche, incapacità a capire gli altri come sono?
Questo, dal punto di vista umano. Dal punto di vista cristiano, mi sembra però qualcosa di più. Incapacità, forse, di fare la “differenza”, incapacità, cioè, di riconoscere i doni che arrivano per via traversa? Anche nelle cosiddette vie un tempo dette di perfezione cristiana, sovrabbondano di sicuro gli esami individuali di coscienza, mattina e pomeriggio e sera: ma quante sono, in proporzione, le occasioni di imparare sincerità coraggiose e reciproche? Se non diamo agli altri, ovviamente i vicini, la reale possibilità di parlarci “di fronte”, perché non essere capaci di vivere come una “grazia” il momento in cui, per qualsiasi motivo – a questo punto nemmeno da giudicare come pettegolezzo – veniamo a sapere di cose dette “alle spalle”?

Un giorno, la segretaria dell’Istituto in cui studiavo trovò nel cestino della carta i frammenti di un foglietto con una battuta poco gentile sul suo conto, con l’aggravante di una grafia ben riconoscibile. Dopo un primo momento di proteste e di risarcimento danni, trattandosi di un Istituto di studi biblici, alla fine con un certo sapienziale umorismo “alla qohelet”, si vuotò la cosa nel dimenticatoio comune, perché altrimenti a frugare a quel modo nei cestini, si disse, «on trouve ce qu’on aime: de la m… ».

Ma perché, Signore, ridursi a cestini non svuotati,
quando, con un’altra “differenziata”,
nemmeno i rifiuti sono più rifiuti,
ma chances di cose nuove,
apertura a esistenze trasformate?

Antonio Pinna
Salmista ad Aristan


Se volessi togliere la parola a tutti quelli, ovviamente “vicini”, di cui sono venuto a sapere che hanno detto qualcosa poco piacevole di me alle mie spalle, dovrei, come Leopardi, parlare soltanto alla luna. (da SALMO 184 CESTINI E “DIFFERENZIATA” – Editoriale di Antonio Pinna)

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