«… l’ira funesta che infiniti addusse lutti…»: se avete immediatamente sostituito ai puntini le parole mancanti, vuol dire che fate parte delle generazioni che nelle scuole medie non solo studiavano l’Iliade con la traduzione del Monti, ma anche ne imparavano a memoria almeno l’inizio: «Cantami, o Diva, del Pelide Achille / l’ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco / generose travolse alme d’eroi, e di cani e d’augelli orrido pasto / lor salme abbandonò…». A dir il vero, non mi pare nemmeno oggi che quell’anticipato “orrido pasto” di cani e uccelli potesse incoraggiare un adolescente che si apriva appena alla vita a proseguire nella lettura. Se, approfittando di quell’orrore, i programmi ministeriali del tempo intendevano formare generazioni di pacifisti, la storia di quegli stessi anni dimostra al contrario che generazioni di interventisti sono cresciute non proprio “innocentemente” nutrite dalle prime rivalità, realmente iniziatiche, tra fautori di Achille e simpatizzanti di Ettore. In conclusione, un modo molto raffinato di essere preparati a sentirsi a proprio agio in un mondo di “orridi pasti”.
A dir il vero, Omero, come rappresentante del buon senso umano quando da residuo diventa poesia, aveva fatto di tutto per far sentire l’assurdità di una guerra diventata ormai “classico” paradigma di ogni guerra. Nel Libro XXI, non trovando più da nessuna parte chi provasse scandalo per l’ira di Achille ormai diventata funesta oltre ogni limite, si inventa la protesta “divina” (i fiumi diventavano dèi mitologici) del fiume Scamandro, che non sopporta più di vedere le sue acque arrossate dal sangue dei soldati troiani uccisi alla rinfusa e scatena la forza delle sue acque contro l’eroe greco che rischia così di morire a sua volta non come eroe ma semplicemente sommerso dal peso delle sue stesse armi.
Ma a questo punto, alle guerre degli umani si mischia la guerra degli dèi, anche essi divisi fra i rispettivi sostenitori delle parti nemiche, così che nasce una delle pagine più potenti di tutta l’Iliade, con la forza travolgente delle acque che viene resa innocua da un fuoco che circonda il fiume e ne brucia la forza. L’unica considerazione che arresta la guerra fra gli dèi ed evita la morte dello stesso fiume viene così espressa da una delle divinità che anche quando si coinvolgono lo fanno solo e sempre a spese degli altri:
«Férmati, disse, glorïoso figlio:
dar cotanto martìr non si conviene
per cagion de’ mortali a un Immortale».
Al fiume Scamandro non resta così che diventare, nelle parole di un altro poeta, il testimone inefficace delle guerre umane: «Lo Scamandro risuona di lamenti acuti: è il pianto delle prigioniere che la sorte consegna ai nuovi despoti» (Le Troiane, di Euripide).
Forse già Omero sognava, Signore,
l’incarnazione di un Figlio diverso?
Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)
“Al fiume Scamandro non resta così che diventare, nelle parole di un altro poeta, il testimone inefficace delle guerre umane.”
Da Salmo 296 INCARNAZIONI DIVERSE – Editoriale di Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)