«Mens sana in corpore sano», si dice. Non credo sia sempre vero. Sfidando le aspettative che avrebbe evitato il match, la judoka dell’Arabia Saudita Tahani Alqahtani ha affrontato alle Olimpiadi di Tokyo l’israeliana Raz Hershko. A darne l’annuncio prima dell’incontro era stato proprio il Comitato Olimpico dell’Arabia Saudita, che non ha di per sé rapporti ufficiali con lo stato di Israele. L’atleta israeliana, pur vincendo e per ippon (= ko nel judo), ha sollevato il braccio dell’atleta araba musulmana, e l’immagine ha fatto il giro del mondo come icona dell’antico spirito olimpico dei giochi che segnavano almeno una sosta nelle guerre fratricide delle città greche.
Immagine tanto più significativa quanto più rara. Storicamente, infatti, molti atleti delle nazioni arabe o musulmane hanno boicottato le gare contro gli israeliani, in partite sportive anche fuori dai giochi olimpici. Un paio di judoka hanno perso le loro partite piuttosto che affrontare un avversario israeliano.
Evidente la fallita comprensione della “mens” dei giochi da parte di questi atleti, delle loro nazioni e della stampa che da varie parti ha creduto di doverli approvare. Ma forse si può dire di più. Mai come in queste olimpiadi “ritardate” si erano sentiti tanti atleti commentare le loro imprese ricordando i sacrifici che li hanno portati alla vittoria. Essi parlavano certo delle difficoltà e delle rinunce concrete di vario genere rese necessarie dalla situazione pandemica. Eppure, per partecipare a dei giochi olimpici la rinuncia più importante mi sembra sia quella di perdere la “mens” di un mondo diviso in due, sempre fondato sulle esclusioni reciproche di chi vince e di chi perde. Il gesto dell’atleta israeliana che solleva il braccio della “nemica” saudita a me sembra dunque superare il senso di fratellanza, come interpretato dalla stampa, per indicare invece chi aveva in realtà vinto al gioco nascosto delle olimpiadi, dove l’importante, come si diceva, è partecipare senza escludere. Voler ancora e sempre escludere, in fondo, non è segno di una mens molto sana.
E mi ricordo, Signore, quanto già Paolo diceva
in tempi di giochi senza pandemia:
«Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono,
ma uno solo conquista il premio?
Correte anche voi in modo da conquistarlo!
Però ogni atleta è disciplinato in tutto;
essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce,
noi invece una che dura per sempre» (1Corinti 9,24-25).
Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)
“Evidente la fallita comprensione della “mens” dei giochi da parte di questi atleti, delle loro nazioni e della stampa che da varie parti ha creduto di doverli approvare.”
Da Salmo 306 A CHE GIOCO… – Editoriale di Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)